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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:217|3|0]]dicato spirito di esclusione che tra noi non sarà mai abbastanza combattuto. Ciò che veramente costituisce il reale valore di ogni musica non è già l’appartenere essa piuttosto a un genere che ad un altro, l’essere piuttosto della maniera italiana che della francese o tedesca, ma sì la maggiore o minore ispirazione, il più o men vivo e profondo sentimento, il gusto più o men fino e sagace con che ella appare dettata. Il vero bello dei prodotti artistici risulta non da altro che dalla essenza intima del pensiero, e questo se scaturisce veramente da una fantasia e da un cuore ispirato, non può non vestirsi della forma ad esso più conveniente e foggiarsi al modo più conforme alla sua natura. Ora codesta forma, codesto modo, sian pure piuttosto d’una che d’altra indole o essenza, ma dal momento che nacquero contemporanei al pensiero, dal momento che furono, come a dire, una condizione necessaria della sua generazione, non si potrà mai se non a torto affermare che e’ non sono nelle sane dottrine dell’arte, nè ammissibili dal buon gusto. - Certamente che un compositore non giugnerà mai a questo punto di poter dar vita a’ suoi pensieri musicali nel modo il più conforme alla natura di questi, e pertanto il più acconcio ad offerirveli sotto la più efficiente loro sembianza, se prima non avrà compiuta la sua tecnica educazione in modo che, all’atto dello scrivere, la scienza gli sovvenga quale ministra fedele e vigile, e come ajuto possente ad ogni bisogno della incerta e agitata fantasia.

Ma data la supposizione che lo scrittore di musica sia sicuro di tutti i mezzi della dottrina, si sieda pure al tavolino ne’ momenti che il suo cuore gli batte per caldo affetto, e l’istinto di creazione si agita nella sua mente, e non dubiti che quanto gli verrà vergato dalla magica sua penna non sia conforme alle alte norme del bello dell’arte, indipendentemente da ogni puerile o sofistica distinzione di generi, di scuole o di maniere. Verità e sentimento, ecco le due condizioni neccessarie a che la fantasia, assorellata alla scienza, dia alle produzioni artistiche il diritto di commovere gli animi e rapire l’ammirazione. E per quanto riguarda in più peculiar modo la musica, fate un tratto ch’ella non manchi degli elementi or accennati, indi state pur certi che, indipendentemente dalle vane distinzioni di genere e di scuola o italiana o tedesca, od araba, se vi piace, ella sarà nè più nè meno quel che deve essere per trascinarvi ad applaudirla come incantevole.

Rossini, che in tanti suoi capolavori del pretto genere italiano, vi rapiva all’entusiasmo, scrisse pure Le Comte d’Ory, Le siège de Corinthe, Le Moise e Le Guillaume Tell, opere insigni nelle quali le forme e e i disegni di foggia straniera non tolgono per nulla all’efficacia di una ispirazione sfavillante, ma anzi la soccorrono e la avvigoriscono perchè elle sono appunto le forme e i disegni che nacquero spontaneamente e ad un getto medesimo coi pensieri e colle immagini, e quindi nè altre nè diverse da quel che sono e potevano essere. - E senza ricorrere all’arciflamine de’ compositori, limitiamo pure i nostri esempj a Donizetti, ed anche, se volete scendere un po’ più abbasso, a Marliani! Quanto, dal più al meno e secondo la diversa portata dell’ingegno, non furono essi immaginosi, ridondanti d’affetto e geniali nelle loro musiche del genere francese! - Or perchè questo, se non se per la semplice ragione che seppero essere ispirati prima di tutto, poi sagaci nell’avventurare i loro pensieri musicali sull’ali di forme nuove e ardite, ma felici perchè appunto più convenienti all’indole di quei pensieri musicali? Ed ove voleste obbiettare che essi recarono alcun chè del fare italiano nelle forme della musica francese, noi replicheremmo che coll’avere ottenuto il generale applauso appunto con questa specie di fusione dei due generi, dal quale ne derivò un terzo al tutto nuovo, provarono con argomento abbastanza vigoroso la vacuità dell’opinione di coloro che impor vorrebbero un’esclusione o, come a dire, un monopolio di genere e di scuola!

Or, per tornare al punto dal quale abbiamo preso le mosse, diremo che non è già da farsi rimprovero al giovine esordiente signor Imperatori d’aver seguito le orme piuttosto dei migliori tedeschi compositori anzichè degli italiani nella scelta delle forme dei pezzi e delle maniere dello stile, ma sì piuttosto, che nè la fantasia nè il sentimento non siano venuti in soccorso a lui come venivano a quegli insigni, e che l’essersi appigliato piuttosto alle norme dell’una che dell’altra scuola fu effetto di una determinazione calcolata, anzichè bisogno o parte della ispirazione stessa. - In oltre poi, osserviamo che l’autore della Bianca di Belmonte addimostra bensì, in alcuni squarci e in ispecie nei primi pezzi della sua partitura, di avere a lungo e molto studiosamete versato sulle opere degli Haydn, dei Mayer, dei Mozart, ecc., ma in altri, in ispecie nelle arie, ei non si chiarisce punto contrario alle più note fogge italiane, ed adopera anzi strutture e disegni, anzichenò usitati, e quasi dicevamo volgari. Ommettendo di occuparci a spingere più addentro le nostre osservazioni analitiche intorno ad un’opera destinata a non più ricomparire, almeno per ora, sulle nostre scene, riassumeremo il giudizio che di essa vogliamo proferire, nelle seguenti parole.

Il signor Imperatori, a nostro credere, nel suo primo saggio, anzichè di assoluta incapacità o povertà di dottrina, diede prova di inesperienza, e di timidezza o renitenza di ingegno. Di inesperienza, in quanto che ad ogni piè sospinto si addimostra ignaro non solo, dei grandiosi effetti teatrali, ma e ben anco delle più ovvie malizie sceniche; basti osservare la sovverchia lunghezza dei pezzi, il loro procedere tardo e stentato, la monotonia degli sviluppi melodici, e dei giuochi stromentali, il farraginoso ingombro degli accompagnamenti[1] che ben di rado lasciano la voce del cantante espandersi in una libera e dolce atmosfera, ma la soffocano nella densa nebbia di accordi talora troppo astrusi, talora disgustosi per dissonanze scorrette e inconvenienti: di timidezza e renitenza d’ingegno, in quanto che, forse pieno della buona voglia di liberarsi al tutto dalle pastoje del vecchio formalismo melodrammatico, e tentare i vigorosi effetti di uno stile teatrale per eccellenza e pittoresco, non osò porsi in piena e dichiarata opposizione col gusto di coloro che tra noi condannar vorrebbero l’arte a rimanersene stazionaria, e procedette quindi esitante, pauroso, anzi sgomentato tra i vecchi e i nuovi modi, tra le forme convenzionali e ormai viete, e quelle che imperfette gli suggerì la memoria degli studj fatti su buoni modelli, e non seppe stampare verun’orma nè originale nè sicura, ma si smarrì in un inestricabile labirinto di elementi eterogenei.

Non sappiamo in vero, nè ci cale di sapere quel che penseranno i lettori superficiali di ciò che or stiam per dire, ma non esitiamo ad affermare che, malgrado le severe censure cui sottoponemmo lo spartito del sig. Imperatori, noi crediamo scorgere in esso qualche promessa di un onorevole avvenire. Sono assai pochi coloro tra i giovani compositori italiani, i quali accennino di possedere la forza di ingegno e di volontà e la dottrina necessaria a soccorrere ai tanti bisogni attuali della musica teatrale italiana. A nostro credere sarebbe ingiustizia il negare al giovine autore della Bianca di Belmonte il diritto di pretendere pel futuro a un piccolo posto tra costoro.

Egli, non ne dubitiamo, saprà persuadersi che lo studio de’ grandi compositori, a qualunque scuola appartengano, per riuscire a buon frutto debb’essere non servile nè pedantesco, ma guidato da fino discernimento e buon gusto, e che nelle arti, ove manca l’ispirazione e il sentimento naturale del bello, ben difficilmente può supplire il solo sforzo della scienza.

La scienza, anche quando è somma, deve farsi aiutatrice del genio, non pretendere a surrogarlo: quando poi è imperfetta o dubbia, diventa funesta a chi si pensa di potere sostituirla all’ispirazione e al sentimento naturale del bello.

B.



NECROLOGIA.

Francesco Clement, Primo Violino, Direttore d’Orchestra al teatro della Wien a Vienna, nato quivi nel 1787, è morto nell’or decorso ottobre. Artista affatto singolare egli fu uno de’ più felici improvvisatori sul pianoforte, quantunque non facesse mai professione di questo stromento. La ben difficile ouvertura del Flauto magico fu da lui eseguita sul pianoforte in ischerzo con tempo tanto rapido, che niun violino poteva raggiungerlo[2]. Le sue fantasie sul cembalo erano interessantissime; egli svolgeva, all’improvviso, al cospetto del rapito uditore, una serie di bei motivi delle opere antiche e moderne, suggeritigli dalla sua rara memoria. Sembra incredibile, eppure è cosi: Clement, dal sentire una sola volta anche componimenti grandi, li eseguiva all’istante sul pianoforte con una giustezza stupenda, e con le più sfumate gradazioni. In qualità di concertista di violino seppe nella sua gioventù vincere difficoltà grandi e straordinarie sul suo istromento. Ebbe poi una particolare abilità nel sonare a vista le cose più difficili. Invitato una sera ad eseguire un quartetto di Mozart, la sua parte cadde casualmente in terra, sonate appena le prime battute; il domestico, levandola tosto la mise sul leggio a rovescio, ed egli eseguiva medesimamente il primo allegro. Poichè gli astanti gliene manifestarono la loro ammirazione, ci disse esser ciò per lui una bagatella, ed eseguì l’intero quartetto colle note a rovescio. Clement possedette pur anco una grande abilità di formare sull’istante una specie di armonica con bicchieri (aumentando e diminuendosi il liquido), e di eseguire su di essa le più difficili variazioni. Invitato a lauti pranzi e fra amici, seppe sovente rallegrarli con siffatte sonate umoristiche. La fisionomia di questo artista straordinario era molto interessante e geniale; il suo contegno semplice, e la sua conversazione gradevole (egli somigliava alquanto a Bellini).


  1. In proposito dello stromentale del sig. Imperatori osserveremo che, sebbene in taluni luoghi del suo spartito sembri pretendere alla elaborazione tedesca, è molto lontano dal poter vantare la dotta e ben calcolata semplicità e grazia e vigore sempre caratteristici dei buoni compositori di questa scuola.
  2. E il traduttore di questo articolo, preso dalla Gazzetta musiale di Vienna, si ricorda, ancora molto bene di esser stato presente un giorno all’esecuzione del Flauto Magico, in platea, precisamente dietro Clement, il quale dirigeva come capo d’orchestra. Alla metà della sinfonia gli si ruppe il cantino (corda di mi). Il suo vicino gli esibì tosto il suo violino; ma Clement lo ricusò, e diresse quasi l’intero primo atto con sole tre corde sul violino.
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