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Ma per lasciare ogni poesia, e tornare freddamente in sulla disamina de’ fatti, comparso Bellini, il torrente rossiniano si frenò, gli imitatori soprastettero un tratto dubbiosi, e tacendo ascoltarono; poscia, fatto animo, si riprodussero con isvariate maniere, la più parte ottime, e non senza special pregio di originalità, per forma che, mercè l’opera loro, la musica drammatica si mantiene in fiore anche oggidì. Che ella non possa più oltre progredire in eccellenza ne fanno fede i mezzi strumentali possibili tutti esauriti, e fattone quell’uso, che di un tratto solo accresciuto, in abuso cadrebbe. Lo mostrano altresì le ridicole ripetizioni delle parole del dramma tolte di mezzo, e serbate solo quelle che sono indispensabili al ritmo musicale, e calzano anziché nuocere al color della scena; lo mostrano i recitativi ridotti non pure ad essere ascoltati ma aggraditi secondochè è l’importanza loro: lo mostrano i pezzi di concerto disposti in modo da rendere imponente l’azione, e non meno verisimile il fatto di quello che esser potesse vero, e ciò conciliato mirabilmente coll’effetto musicale.

E, posto ancora che in avvenire si potesse trovare qualche ingegnoso modo di tentar nuovi effetti, chi saprà rendere più vera, viva, evidente una scena di quello che sia la finale della Norma, o quella della tortura nella Beatrice, o l’ultima della Lucia, o quella meravigliosa di Giulietta e Romeo del Vaccaj?

Or chi negherà che cotest’arte non sia oggi in fiore tra noi? E chi si argomenterà di migliorarla in appresso? Certo la sorte di tutte le arti sarà pur quella della musica: lei pure vedremo volgere in decadenza, e questa eccellenza in cui è salita nel dimostra, oltre la quale non è concesso di aggiugnere, e il conferma questo lodevole pensiero che molti a gara si danno di occuparsi a scrivere di cose musicali, essendosi mai sempre sperimentato che la storia delle arti comincia col cominciare della loro decadenza. Noi però consoliamoci che quest’arte ora è al colmo del suo fiorire, e cessi l’ingiusto lamento che oggi vi sia penuria di buoni compositori, e di opere eccellenti. Se non ci bastano quelle del rapito Bellini, le sessanta del copioso Donizetti, le molte e gravissime del severo Mercadante, le tante e leggiadre de’ graziosi fratelli Ricci, quelle del Nini, del Pacini, del Persiani, del Coppola, e del Yaccaj; perchè non ci rivolgiamo a quelle di Mazzucato, di Mabellini, di Verdi, di Speranza, di Combi, di Campana, e di molti, e molti altri[1]? Certo egli fu agevole, vivente Raffaello, il dar biasimo di meschin dipintore ad Andrea del Sarto; ma quel giudizio fu riprovato fin allora dagli intendenti, e poscia fu condannato dalla storia. Riconosciamo meglio l’epoca in cui siamo, e nel dar taccia di mediocrità temiamo il giudizio di quelli che verranno dopo noi. C. Mellini.

  1. Si vedrà che cosa pensi di questi ultimi maestri il signor Fétis, nella terza sua lettera che quanto prima produrremo colle opportune postille. L’E.

LA MUSICA IN GERMANIA.

Lettere.

(Fedele al suo proposito, questa nostra Gazzetta offre il primo dei diversi articoli ch’ella destinerà a far conoscere le attuali condizioni delle Arti Musicali presso le principali nazioni. Intraprende la sua peregrinazione storico-critica principiando dalla Germania, per la sola ragione che in questo paese più che altrove è la musica avuta nell’alto conto in cui, a giudizio de’ più savii, vuolsi tenere un’arte sì eminentemente atta a favorire la gentilezza de’ costumi ed elevare gli spiriti, quando per abuso o insensatezza, la non si adoperi quale mezzo di ammollimento o di frivolo passatempo. La presente prima lettera e le susseguenti intorno alla musica in Germania sono dovute alla penna di un dotto critico musicale tedesco il sig. R. Wagner, il quale le destinava alla Gazzetta Musicale di Parigi, giornale redatto con molta saviezza e dottrina, e ricco di articoli degni di essere riprodotti anche tra noi).

Venne ripetuto più volte, e per così dire ammesso come una verità questo motto proverbiale: In Italia la musica è la interprete dell’amore; in Francia la si considera come un sollazzo di società: in Germania la si venera come una scienza astratta e seria. Forse sarebbe più giusto il venir formolando il pensiero medesimo in questi termini: l’italiano ha l’istinto del canto, il francese l’amor proprio del virtuoso; al tedesco solo è dato il vero sentimento della musica. E in fatto, al solo tedesco s’appartiene forse il diritto di assumere il titolo di musicante perocché è indubbia cosa ch’egli ama l’arte musicale per l’arte stessa e per la sua suprema essenza, e non già come un volgare mezzo di irritare e lusingare le sue passioni o come uno stromento di ricchezza e di considerazione. L’artista alemanno si dedica e si conserva tutto intero alla sua vocazione. Egli scrive musica solo per sè o pel suo intimo amico senza punto curarsi della pubblicità del suo lavoro, e raro è che lo spinga la brama di formarsi una celebrità, o che sappia punto quale strada deesi battere a giugnere a tal meta e con quali mezzi ottenere una maggiore o minor quantità di suffragi.

Il suolo della Germania è diviso in parecchii diversi Stati, monarchie, elettorati, ducati, città libere. Il musicante tedesco che noi pigliamo a dipingere qual tipo, abita per avventura una piccola città d’un’oscura provincia: or come potrebbe egli pensar a formarsi una celebrità in un luogo ove non esiste un pubblico? E nondimeno supponiamo ch’ei sia dotato d’ambizione o lo sproni la necessità di porre a frutto le sue cognizioni musicali, in tal caso ei si trasferirà nella capitale del suo ducato o principato che sia. Se non che questo capoluogo è già popolato da una quantità di ottimi artisti e compositori, e troppe difficoltà gli fanno arduo l’aprirsi il passo attraverso la folla. Tuttavolta, a furia di fatica e di perseveranza, ei giungne a procacciarsi un po’ di rinomanza. Le sue composizioni musicali sono accolte con qualche favore, ma lontano quaranta miglia, nel ducato vicino il suo nome non è noto ad anima viva. Come mai polrebb’egli dunque pretendere a diventar popolare nella intera Germania e in qual modo riuscirvi? Ciò non basta a disanimarlo; ma intanto che combatte per vincere le incessanti difficoltà che gli si attraversano, il buon uomo invecchia, indi muore; lo si seppellisce e la sua celebrità scende con lui nella tomba. È poco diversa da questa or indicata la storia di parecchie centinaja di aspiranti alla gloria musicale che la Germania vede apparire e disparire ad un tratto. E se questo è vero, come lo è in fatto, qual meraviglia che la maggior parte de’ miei compatriotti rinunzino di primo tratto a formarsi una carriera collamusica! È agevole quindi comprendere che antepongano scegliere una professione qualsivoglia purché valga ad assicurar loro una esistenza e li ponga nel caso di dedicarsi poi, sgombri di cure, e negli istanti d’ozio, a codesta arte musicale che tanto li alletta e li conforta, e nutre la loro anima di pure emozioni, senza punto eccitare la loro vanità con ciò che nell’esercizio di essa arte vi ha di più brillante.

S’ingannerebbe però a partito colui il quale deducesse dal detto fin qui che i tedeschi s’accontentino di una musica dozzinale; al contrario: andate a coglierli raccolti in piccol crocchio in una modesta camera nelle lunghe sere d’inverno e avrete a persuadervi del vostro errore. Ecco qua per esempio un padre co’ suoi tre figli: due di essi suonano il violino, l’altro tiene la viola, il padre il violoncello; la musica che voi ora ascoltate, eseguita con tanta precisione e sentimento, è nientemeno che un quartetto composto da quell’omicciolo che lì vicino sta battendo la misura del tempo. È desso il maestro di scuola del prossimo villaggio, e voi dovrete confessare che dalla sua composizione traspira una squisita intelligenza dell’arte. Torno a dirvelo, prestate un orecchio attento a codeste accademiucce borghesi, e non potrete a meno di provarne una dolce commozione, e un caro scuotimento dell’anima; imparerete a conoscere la musica tedesca e potrete giudicare di qual’indole sia il genio istintivo di questa nazione, e vi persuaderete che il tedesco suonatore non mira mai a carpire il vostro applauso o le vostre esclamazioni ammirative, sia con un passo brillante, sia con un tratto di bravura; in lui tutto è sincerità e buona fede d’artista, e per conseguenza nobiltà ed elevatezza di animo.

Ma fate di trasportare questi mirabili musicanti al cospetto di un vero pubblico, nel mezzo del solenne apparato di una sala d’accademia e ve li vedrete mutati del tutto; la loro ingenua timidezza li porrà nel maggior impaccio del mondo, e il timore di non potere corrispondere all’aspettativa degli uditori li farà poco men che vergognosi. Ben si faranno essi insegnare gli artifizii coi quali s’ottengono gli applausi, e mossi da una proba diffidenza, si studieranno a dimenticare il naturale loro ingegno per supplire a questo colle artifiziate malizie dell’arte, delle quali fin allora appena aveano udito far parola. A gran pena faranno forza a sè stessi per ubbidire in qualche modo alla manìa di figurare, e avverrà quindi che quelle voci medesime le quali san cantare il lied o canzone nazionale con una espressione oltre ogni dire toccante, mal sapranno imitare le agili volate e i più volgari infiorimenti italiani. Posti a un simile cimento senza dubbio falliranno, e di certo daranno tutt’altro che diletto i loro inesperti tentativi a chi abbia più fiate uditi i maestri consumati eseguire colla maggior perfezione quelle medesime musicali difficoltà.

Malgrado però tanta inferiorità, codesta specie di cantanti si inesperti in apparenza sono pure, a non dubitarne, artisti per eccellenza, e nella ingenua loro anima si nutre un fuoco sacro le mille volte più puro e fecondo della fiamma fugace e fantastica che sì spesso vi abbarbagliò nelle vostre pompose accademie; non da altro che da un eccesso di modestia e da un falso rispetto umano venne alterata la primitiva loro natura. E d’altronde questo che or vi offersi non è che il più brutto lato del qual-

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