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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:52|3|0]]mentis, dalla dominante del tono in re minore, al re bemolle maggiore. Del pari è osservabile, sotto le successive parole - et flagellis subditum - quell’accordo con cui passa al tono in do maggiore, da dove ritorna a quello di la minore, in cui incomincia il pezzo. - Tanta è la novità, naturalezza e ragione delle succennate transizioni, che vogliono essere particolarmente rilevate. - Venne assai lodato il canto in la maggiore che vi succede, e noi non esitiamo punto a crederlo, com’è certamente, di bellissimo effetto. Ne sembra per altro introdotto a solo fine di far spiccare l’abilità del cantante: mentre, come composizione, per quanto sia esso pregevole, pure non lo si potrebbe vedere ben collocato sulle stesse parole di prima - pro peccatis - che il nostro autore si fa a ripetere: parole di tinta trista e patetica, non aventi molta simpatia con un tono maggiore. - La strofa che vi succede, quella - vidit suum dulcem natum - non ha una diretta relazione col pro peccatis suæ gentis. - La musica però è la medesima, compreso il canto in la maggiore che abbiamo sopraccennato.

Pezzo 5.° Coro e Recitativo senz’accompagnamento, contenente le due strofe, Eja ma ter fons amoris: e Fac, ut ardeat cor meum.

Il coro s’intreccia con una voce di basso principale.

Questo pezzo ne pare una composizione a mosaico. - E nel vero, trovansi uniti insieme motivi e periodi di breve durata sì, ma di colore diverso l’uno dall’altro, ed alcuno anche per il tempo slegato dagli altri.

Non è la mancanza di effetto di cui accuseremo in questa parte l’autore? no certamente: ma sibbene della poca dicevolezza di alcun concetto, sia nel rapporto della gravità dello stile, che alla espressione della poesia, e così pure della mancanza d’insieme.

Tra’ motivi concentrati in questo pezzo, ha quello di quattro battute in tempo di 6 e 8 su le parole in amando Christum Deum che, a vero dire, è troppo profano. La dignità dello stile non la troviamo qui osservata; e noteremo inoltre come possa anche giudicarsi poco soddisfacente quella spezzatura che nel detto periodo fa la parte del basso principale, su le parole Ina-mando cioè in amando.

Pezzo 6.° Quartetto.

Esso è composto di cinque strofe o versetti, e comincia con quello Sancta Mater istud agas, scritto per voce di tenore a solo. Noi troviamo eminenti i pregi di questo primo versetto; e poichè serve di base a questo componimento, ne pare conveniente enumerarne le squisitezze.

E primamente, è a considerare la qualità della cantilena applicata alle parole di tinta appassionata; cantilena, figlia d’un’anima inspirata; bella, semplice, fresca come le più care creazioni del genio. Ma, se bella è per sè stessa, l’arte la rese anche migliore. Giudizioso quanto mai, noi troviamo l’impiego che il nostro autore fa della parte istrumentale, là dove tace il canto, e che rende più sensibile la espressione delle parole che vengono significate. Notevole è pure il passaggio dal tono di la ♭ maggiore a quello la ♭ minore, passaggio opportunamente inteso a dar vigore alla passione; come del pari lodevolissimo nello stesso senso è quel graduale rinforzo che presta al canto col farlo ascendere dal do al sol bemolle, mediante semituoni, intanto che gl’istrumenti con armoniose e dotte modulazioni, sostengono e avvalorano il canto stesso senza punto opprimerlo per troppa forza. E molto assennata ne pare inoltre quella sospensione che vi si trova della cadenza sul fa minore corrispondente al primo tono, ove il nostro autore s’intrattiene per formarvi una frase, daddove ritorna al tono principale.

Noi ci dilungheremmo di troppo se volessimo rilevare parte a parte i distinti pregi di questo bel componimento. Gli è perciò che noi passeremo sopra al versetto che succede Tui nati vulnerati cantato dal primo soprano, opportunamente avvicendato dai tenore; nè faremo parola del dignitoso e caratteristico modo di canto con cui il basso esprime le parole Fac, me vere tecum flere, cui risponde il secondo soprano, replicando le parole suddette, però con altra cantilena assai grata ed acconcia.

Questo pezzo ne pare una gemma infinitamente preziosa. La scelta dei musicali concetti benissimo adatti, sì alla espressione della poesia che alla gravità dovuta nelle opere di questo genere; lo sviluppo ingegnoso che a grado a grado e’ ricevono, sia nel dividersi tra le quattro parti cantanti, come nel loro legame ed intessuto co’ strumenti; perfino quel profondo magistero mediante il quale il nostro autore, coll’ammirabile meccanismo di questo suo linguaggio, sa riunire in una stessa corrente d’idee, in uno stesso punto d’interesse tutte le categorie de’ suoi uditori per cui può dirsi ch’ei li conduce per una sola via, deono assicurare a questo componimento l’omaggio di un’unanime ammirazione

(Sarà continuato).

Maestro primario della Cappella di San Marco in Venezia.



LETTERATURA MUSICALE.

(I signori Editori ed Autori di Opere che trattano di teorica musicale o della storia dell’Arti presso i diversi popoli, ecc., i quali desiderassero veder fatto cenno in questa Gazzetta delle loro produzioni, sono pregati a inviarne copia, franca di porto, al nostro Ufficio, la quale, steso che sia l’articolo, verrà restituita nel modo e a chi verrà indicato all’atto della consegna della copia stessa).

GALERIE DES CONTEMPORAINS ILLUSTRES, par UN HOMME DE RIEN[1], ROSSINI, 36 livraisons. MAYERBEER, 26 livraisons.

I fascicoli 26 e 36 della Galerie des contemporains illustres par un homme de rien che si pubblica a Parigi contengono le biografie di Mayerbeer e di Rossini giudicati ragionevolmente da quell’autore i due cardini principali della musica del secolo. Quest’uomo da nulla si mostra molto superiore alla significazione dell’assuntosi titolo, e molto degno di una tanta modestia nel proemio che manda innanzi alla biografia di Mayerbeer chiamando a giudizioso esame la questione della musica antica presso gli ebrei e presso i greci, e concludendo che la musica presente contiene quella degli antichi, e che quella degli antichi non conteneva altrimenti la nostra. Questa sentenza, che l’autore annunzia come già pronunciata in un articolo del signor Berlioz, meriterebbe di essere posta a maturo esame, e facilmente si vedrebbe riuscire meno esclusiva, e più corretta, ma il presumere che gli antichi avessero nozione di una musica perfezionata od anche superiore alla nostra, sarà sempre un’asserzione contraddittoria a tutti i monumenti e ai fatti della storia.

Procede quindi l’autore a descrivere la storia di Mayerbeer, il quale, nato fra gli agi dell’opulenza nella capitale della Prussia e dotato di genio singolare alla musica, ebbe agio fino da’ primi anni di darsi agli studii dell’arte; onde sotto gli insegnamenti di Lanka, allievo di Clementi, potè a nove anni distinguersi fra i migliori pianisti di Berlino. L’abbate Vogler innamoratosi del genio del giovane l’invitò a Darmstadt: egli volonteroso vi si recò e nella scuola di quel celebre contrappuntista ebbe a condiscepoli Ritter, Knecht, Winter, Grambascher, e l’autore del Freyschütz il celebre Carlo Maria Weber. Quella scuola era ordinata e diretta a fare degli allievi di gran dottrina musicale, e i nominati compositori che ne uscirono mostrano come l’effetto corrispondesse all’intendimento ond’era instituita. I primi saggi melodrammatici di Mayerbeer furono Dieu et la nature, Le voeu de Jephte, et les deux Califes. Ma tutte queste Opere prodotte sulle scene della Germania avvezza al dolce della melodia italiana non ebbero alcuno effetto d’applauso. Egli s’era grandemente scoraggilo per questi successi, quando il celebre Salieri, allora direttore dell’Opera italiana a Vienna, il confortò che dovesse fare un viaggio in Italia per apprendervi l’arte del canto che gli mancava. Mayerbeer seguì il consiglio, e l’anno 1815, passate le Alpi, giunse in Italia appunto quando la prima maniera di Rossini era il soggetto di tutti i discorsi e della comune ammirazione. Mayerbeer sentì il Tancredi, e ne rimase innamorato, e stupì della freschezza, e dell’incantesimo di quella melodia piena di vita. Allora, dato bando al calcolo scolastico, posti dall’un de’ lati i severi insegnamenti dell’abbate Vogler, egli si diede a tentare la maniera italiana, e colla forza del genio, col fondamento degli studii percorsi giunse colla sua Romilda e Costanza, Semiramide riconosciuta, Emma di Resburgo a cattivarsi l’animo e gli applausi degli italiani, fra’ quali non mancarono molti che lo riconobbero per l’emulo di Rossini. Non però i tedeschi cessarono di dargli biasimo di apostasia dalle massime della severa scuola alemanna. Mayerbeer contrapponeva a’ suoi detrattori nazionali delle Opere italiane. La Margherita d‘Anjou, l’Esule di Granata, l’Almanzor furono con plauso inestimabile accolte dagli italiani, e finalmente il Crociato in Egitto suggellò questo secondo periodo della vita di Mayerbeer con un successo di completo trionfo.

L’anno 1827 Mayerbeer tornò a Berlino, ivi ammogliatosi, e perduti i due figliuoli che gli erano nati, si diede alla melanconia, ed alla solitudine, e non trovò altro sollievo che nella meditazione dell’arte. Da queste vicende della vita di Mayerbeer deve il mondo riconoscere le Opere colossali Robert le Diable, e les Huguenots che egli scrisse pel gran teatro francese. La prima di queste Opere deve riguardarsi come un prodigio di creazione per tutti i tempi, e per tutte le nazioni. La seconda più elaborata, e più cruda nella sua armonica tessitura, cede di molto alla prima in eccellenza. Mayerbeer è ora avuto in conto del più grande de’ compositori viventi, perchè Rossini non vuol più vivere per l’arte. Nessuno ha mai avuto tanta arte nell’istromentazione quanto Mayerbeer, e nessuno più di lui eziandio abusandone, ha ottenuto più mirabili effetti d’orchestra. Egli, quasi divenuto francese, vive ancora ed opera a Parigi. Facciamo voti perchè le Opere che egli pubblicherà in appresso, moderandosi nello sforzo del magistero e della dottrina musicale, spirino quella popolarità che le renda più accette all’universale de’ popoli[2].

Venendo poi l’uomo da nulla nel fascicolo 36.º a dare la biografia di Rossini, usa tutta la festività e piacevolezza del suo stile per ispiegare la causa del presente ozio del gran maestro, e conclude (non sappiamo quanto accuratamente) derivandola da quel savio principio: meglio essere abbandonare il pubblico che farsi abbandonare da lui. In proposito del più grande dei compositori di musica, che non solo pel suo genio si è fatto oggetto di ammirazione al mondo intero, ma ancora per la sua dottrina musicale, non veggiamo giusto che sia da attribuirsi a questo principio il fatto del suo ozio odierno. Ma qual se ne sia la cagione, qui non è luogo a discuterla.

Descrive l’autore i natali di Rossini in Pesaro, e l’essere egli all’età di dodici anni condotto a Bologna per apprendervi il canto. Ivi sotto Don Angelo Tesei si esercitò in quest’arte sino a promettere di dover riuscire un buon tenore. L’anno 1807 fu posto sotto gl’insegnamenti del celebre contrappuntista il padre Stanislao Mattei; ma Rossini, sdegnando la tortura di quel calcolo quasi matematico, stimolato dal genio che gli prometteva buon successo ne’ suoi liberi tentativi, cominciò ad esercitarsi nello stile libero, e di sedici anni compose una sinfonia, e una cantata che gli procacciò plauso ed onore. Poscia fattosi animo si diede a pratici studii sugli esemplari di Haydn e di Mozart, e all’età di diciotto anni venuto a Pesaro, la famiglia Perticari l’aiutò sì che potè ottenere

  1. Paris. A. Rene, et C.e Imprimeurs-Editeurs
  2. Questa è l’opinione del nostro collaboratore; noi invece pensiamo sia da far voto che la sempre più raffinata coltura e la cresciuta e più diffusa educazione musicale renda più agevole alle moltitudini convocate ad udire i forti concepimenti de’ maestri della taglia di Mayerbeer, il comprenderne ed apprezzarne l’alta portata. A nostro giudizio la maggiore o minor popolarità di ogni musica non è tanto in ragione della maggiore o minor sua elaborazione scientifica ed estetica, ovvero trascuratezza e semplicità apparente, quanto in proporzione della intelligenza degli uditori più o meno raffinata. - A un tal uditore che siasi esercitato a gustare della musica concepita con bell’ingegno ed eletta dottrina parrà, a cagione d’esempio, di gusto popolare questo o quel pezzo di Mozart, di Spontini, di Cherubini, che ad altro uditore, solo avvezzo alle cavatine e alle cabalettuccie di certi compositorelli, sembrerà astruso e poco meno che incomprensibile. E all’opposto egli chiamerà popolare per eccellenza quel tale o tal altro pezzo di musica che un intelligente più educato al vero bello musicale troverà triviale o scolorito e degno tutt’al più degli organetti e de’ mandolini de’ virtuosi da bettola. Eleggami a questo proposito i pensieri sull’ armonia e sulla melodia inseriti nel passato foglio dall’altro nostro collaboratore T.lli i quali però lasciano molte altre cose a dire sul medesimo importante argomento.
    L’Est.
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