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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu{{padleft:6|3|0]]il cielo quali lezioni!) si succedono e si accavallano le une sulle altre con una specie di febbrile sollecitudine; i tre o quattro spartiti più applauditi della giornata si divorano con una fame di crome da far terrore... Un breve giro di lune, e in quel mercantuzzo abortito, in quel bottegajo sbagliato, in quello studente licenziato senza diploma di laurea, voi avete un novello Assur, un novello Pollione, un Belisario, un Bravo di più ad accrescere lo smisurato catalogo degli Assur, dei Pollioni, de’ Belisarii e dei Bravi che già da un pezzo si alternano, si cozzano, si dimenano sui mille ed un teatro della Penisola a disputarsi i quartali dell’Impresario e gli articoli magniloquenti de' giornalisti. Volete che vi parliamo di celeberrimi primi contralti, di immortali prime donne assolute, e di gloriose prime donne comprimarie(!) improvvisate nel giro di poche dozzine di settimane e sbalzate d'un salto dagli scannetti delle crestaje e delle sartore sulle tavole e tra la polvere olimpica del palco scenico? Ve ne ommettiamo la pittura che potrebbe riuscir troppo bizzarra, e per caso, anche incredibile sebben sincera!

E pure una verità deplorevole! Il tirocinio dell'arte del bel canto che ai migliori tempi musicali dell'Italia era considerato estremamente arduo e periglioso e tale che i sommi istitutori della nostra scuola, venerata per classica dall'intera Europa, reputavano non doversi lasciar accessibile che a poche organizzazioni privilegiate cui i doni dell'intelligenza, della cultura e dell'affetto fossero lume e fondamento: il tirocinio dell’arte del bel canto, per la folla dei tanti artisti avventurieri che a' di nostri si lanciano a passo di marcia alla conquista della gloria teatrale colla medesima leggerezza e sbadata indifferenza colla quale noi che scriviamo e voi che leggete ci getteremmo in una carrozza a vapore per ir di volo a far colezione a Monza, questo difficile e complicato tirocinio è diventato poco più che un trastullo, un affar di pochi mesi di studii superficiali, una quaresima di care penitenze preparatorie ad un interminato carnevale di trionfi e di apoteosi a suon di zecchini meritati sa il cielo come!

Or fatevi di grazia a stringere al tu per tu alcune di coteste celebrità da scena, surte d’improvviso dal nulla al tocco della bacchetta magica di questo o quell’agente teatrale od impresario di provincia! fatevi ad interrogarli intorno ai più ovvii rudimenti della musica; invitateli a darvi conto, non già delle alte bellezze estetiche delle difficili parti tragicoliriche che e’ assumono con una disinvoltura che mette raccapriccio a chi sa un po’ addentro ne’ misteri dell’arte, ma solo del valore di questa o di quella modulazione, dell’importanza di questa o di quella successione di accordi, di questa o di quella transizione armonica, e state pur certi che novanta di essi su cento vi rimarranno lì a bocca aperta, come trasognati o confusi, e tutt’al più, i più presuntuosi tra essi, i più ignoranti vi risponderanno voltandovi le spalle «genio, genio vuol essere, e non pedantesca dottrina; buona voce, buoni polmoni e buone orecchie, e il resto è di sopravanzo.» Oh che davvero ben sapreste voi dire a costoro che cosa ci ha di sopravanzo nel fatto delle loro buone orecchie!...

V’ha parecchie centinaja di così detti virtuosi da cartello che ad ogni rinnovarsi di stagione si tramutano da uno ad altro dei tanti teatri lirici d’Italia facendosi preannunziare sulle Gazzette e salutare sugli affissi sesquipedali per esimii e celeberrimi professori di canto, e con modestia proprio da camerino a chi vuole e a chi non vuole udirli si spacciano per consumati dottori nella difficile arte musicale; e per poco che sappiate solleticar con malizia la loro vanità vi intrattengono de' prodigi operati su questa e su quella scena, dell’entusiasmo a cui furono rapiti i tali e tali maestri allo sperimentare la vasta potenza del loro ingegno!... Or volete sapere entro a quali poveri confini è circoscritta la tanto millantata loro enciclopedica sapienza musico-teatrale? Una dozzina delle più acclamate partizioni di Rossini, di Donizetti, di Bellini ec. più presto appiccicate alla memoria meccanicamente, anziché studiate, meditate e sentite; un’altra dozzina di arie e di duetti da baule; una sufficiente provvista di volgari aforismi e di trite sentenze intorno alla così detta arte di mettere la voce, di filarla, di sostenerla, ec. i soliti luoghi comuni, i soliti epifomeni di ammirazione esclusiva riguardanti il così detto canto spianato italiano (quel bel canto che tanti de nostri virtuosi si vantano impudentemente di possedere, ma che sì pochi conoscono davvero), otto o dieci passi d’agilità e volate con trillo, otto o dieci gesti teatrali di convenzione, otto o dieci pose eroiche imparate allo specchio col maestro di mimica al fianco o colle Lezioni del Morocchesi alla mano, e potete ben voltarli e rivoltarli a vostra posta codesti sedicenti baccalari del mestiere, che non vi vien fatto di spremerne altra stilla di sapere!

Avremmo il più marcio torto del mondo se questa patente di ignoranza e di limitata capacità materiale che crediamo poter largire in tutta coscienza ai tanti e tanti merciaiuoli di fiato che nell’Italia d’oggidì costituiscono il volgo della professione melodrammatica, volessimo estenderla a tutti indistintamente i viventi italiani cantanti. Mai no: discerniamo ora d’un sol tratto e ad un fascio, e a suo tempo distinguere sapremo colle debite parole d’onore le poche sommità eccezionali cui veramente si debbe per diritto il titolo d’artisti, presa questa parola nel vero e più ampio suo significato; ma chi voglia essere schietto e ardito proclamatore di una verità che a tanti farà suonar male le orecchie, ne dica, se gli basta l’animo, di quanto oltrepassano la ventina tra le centinaja i contemporanei cantanti italiani cui sieno famigliari veramente le più recondite discipline dell’arte del canto, cui l’intelletto, educato alle alte indagini del bello musicale, sappia avvalorarsi con sapiente criterio degli elementari doni della natura, e il cuore caldo di schietto entusiasmo, e vivace lo spirito ed educato da nobili studii, giovino a rendere fecondi di alti risultamenti le migliori nozioni fondamentali apprese, non alla scuola di una mercenaria pedanteria, ma alle più pure fonti della scienza, alle più elette dottrine dell'arte.

In un prossimo articolo faremo di delineare il tipo perfetto dell’artista cantante quale pare a noi dovrebbe volersi a degnamente interpretare il genio musicale moderno, considerato nella maggiore ampiezza de’ suoi ultimi progressi; quindi studieremo ad osservare fino a qual punto sia limitata la schiera di coloro i quali, ammessi a calcare le primarie nostre scene melodrammatiche, a quel tipo perfetto si assomigliano; indagheremo per ultimo le cagioni di tanta nostri povertà e accenneremo ai mezzi che ne parranno più atti a richiamar tra noi l'arte del canto al primo suo onore sovrano[1].



CRITICA MUSICALE.

Opere di Sigismondo Thalberg.

Da meno di un secolo in qua il pianoforte di meschino accompagnatore s’é fatto strumento ampio, dovizioso, onnipossente. Gli esigui strimpellamenti che traevansi da sottili corde, tocche da mal congegnati tasti, si tramutarono in un vasto campo d'armonia, ove nulla v’ha di intentato, o di ineseguibile. Clementi, Rigel, Hermann - Hummel, Kalkbrenner. Herz, Pollini, Kramer, Bertini, Pleyel. - Zimmermann, Moscheles, Czerny, l’un l’altro spalleggiandosi e confortandosi, mano mano allargarono i circoscritti confini entro cui spaziava la musica di pianoforte, ed ebbero poi per eredi una mano eletta di valorosi giovani, che foggiarono l’arte ai torni della poesia, che liberamente s’abbandonarono alla potenza dell’immaginazione ingrandendo le regole tecniche, in capo a quali leggonsi con ammirazione da tutta Europa questi quattro nomi: Liszt - Chopin - Döhler- Thalberg. Non so se per altri rispetti, ma certo per l’eleganza quest’ultimo va innanzi a tutti. Di lui, alcune parole.

Le prime opere di Thalberg non lasciavano nemmen per ombra sospettare le splendide sorelle che nell’avvenire dovevano avere: nessuna era novità in lui, poche immagini veramente grandi. Le Variations sur un thème ecossais non sono altro che un’imitazione di modi già usati: e gli è un lavoro di poco rilievo, se ne eccettui la quinta variazione, ed il finale in fa ove si intravedono sublimi intenzioni, e qualche bei tentativi, che però tornano a disciogliersi in frasi comuni. — Nei dodici capricci in forma di waltz v’ha squisitezza di buon gusto, ma debole n'è la tessitura, e la mano sinistra vi è pressocchè negletta. — Anche il Mélange sur le Guillaume Tell è fiacco, vuoto, e poco corrispondente all’altezza del soggetto che l’autore imprese a trattare. Questa è la quinta delle opere di Thalberg, e ci pare ponga termine alla prima sua maniera.

Nell’opera sesta, cioè nella Fantaisie sur le Robert le Diable, la immaginazione del giovine autore comincia a sciogliersi a più larghi voli, e si puntella di un fare più ardito, robusto e nuovo. Le due mani vi si atteggiano a più difficile in uno e più bel magistero: le cadenze vi sono più slanciate, più rapidi i movimenti, più armonizzate le parti cantanti. E a prender di qui le mosse vediamo il Thalberg sempre più farsi grande: cosicché, se per un esempio, è bella la Fantasia sulla Straniera. quella sui Montecchi e Capuleti è più bella ancora; e più ancor di queste due si ammira quel giojello scritto a tre righe, il quartetto del Mosè, che sebben di breve lena deve tenersi come un capolavoro in cui tutta è messa a profitto l’ampiezza della tastiera, e le mani invece di due son finte quattro.

Ciò che cominciò a rendere fra noi popo-

  1. Ci terremo sommamente obbligati a chiunque ne sarà cortese di que’ consigli dela pratica osservazione che potranno giovarci a rendere meno imperfette queste nostre indagini. Ammetteremo in questa stessa Gazzetta le obbiezioni che ne verranno fate, quando non escano dai limiti di una savia polemica. Quanto scriviamo e scriveremo non è ne mai sarà detato che dal più schietto convincimento e amor dell'arte; ma questo non sempre può tener luogo di dottrina; ci chiameremo per tanto fortunati ogni qualvolta potremo avvantaggiarci di quella de’ molti più di noi esperti.
    B.
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