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A chi

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II.djvu{{padleft:14|3|0]]forza è, che alla per fine lento, e scioperato divenga. Quindi per isperienza veggiamo, tutti que’ popoli, i quali dalla Natura in paesi più lieti, e copiosi sono stati allogati, essere il più delle volte inetti al mestiere dell’armi[1] sconsigliati, disavveduti, soprammodo schifi di viaggiare. In secondo luogo dee, per mio avviso, incolparsene quel modo, assai strano da accorti, ed ordinati uomini, col quale vegniamo allevati; poichè, giusta il sentimento di Tullio[2] gli animi nostri sono tutti dalla Natura ben disposti, a drittamente operare; ma rei, e malvagi poscia divengono, per gli atti men buoni, a’ quali dalla prima giovanezza sogliono essere accostumati:[3] ciò che Licurgo a’ suoi Spartani, coll’esemplo di due cagnuoli, altrimente l’un dall’altro nutriti, solea dimostrare. Quindi sapientemente disse il Poeta:[4]

Nostra natura vinta da costume.

e gli Stoici affermavano, doversi, con severità, gli animi condurre al bene ὅτι διδακτὸν ὰρετὴ: imperocchè la virtù egli è cosa, che puote insegnarsi. Or se i nostri padri d’ogni altra cosa si sono ingegnati di renderne vaghi, fuor che del viaggiare; qual maraviglia ora, che i μαμμόζρεπτοι figliuoli l’abbiano cotanto a vile? Ma come poteano essi destare in altrui l’amor di cosa, del cui piacere giammai non s’erano accesi? vivendo sempre a guisa di alberi (come Seneca direbbe) senza dilungarsi punto dal suol natio? e in cotal non è gran fatto, se molti[5]

______fugienda patrum vestigia ducunt,
Et monstrata diu veteris tenet orbita culpæ.

Queste due cagioni egli mi pare, che sian


poten-

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  1. Liv. lib. 29. Cic. de natur. Deor, lib. 2.
  2. 1. de legibus, 4. de finib. et Tuscul. quæst. 5.
  3. Plutarch. de educ. pueror.
  4. Petrarca Son. 7.
  5. Iuvenal. Satyr. 14. vers. 36.
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