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werther.
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Il 1° di dicembre.

O amico mio, l’uomo di cui ti scrissi, quell’avventurato infelice, era amanuense in casa del padre

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  1. tua corsa, non aveva prefisso un tempo al tuo ritorno: le ragioni del tuo richiamo covavano profonde dentro di me, erano un mio segreto. Ma tu, quel richiamo ch’esser doveva un atto della paterna volontà, tu non l’hai aspettato; e sei tornato a me, improvvisamente, inconsultamente, a guisa dell’aratore, che per indolenza o per capriccio tronca a mezzo la sua giornata; a guisa del soldato che si ritragga dalla battaglia prima che il capitano lo intimi. Sì, tu ritorni colla nota dell’infingardo, collo stigma del vile sulla fronte. — Le tue forze? Le hai tu forse misurate? Le hai tu provate sul sodo per sentirti il diritto di diffidarne, di supporle da meno del bisogno? Il trionfo è di chi sta, non di chi fugge; è di chi affronta il pericolo, non di chi si arretra sbigottito in faccia ad esso. Come! dove il lavoro e la fatica sono una legge suprema, universale, inevitabile, potevi tu immaginarti che il tuo pellegrinaggio si compirebbe senza disagi, senza cimenti, senza dolori? Ah! tu sognavi le incantevoli pianure, e ti sei trovato sotto ai piedi gli sterpi, le spine, la montagna
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