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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goethe - Werther, 1873, trad. Ceroni.djvu{{padleft:458|3|0]]tenza è confessata anco dallo stesso protagonista del presente romanzo, in uno di quegli intervalli, che ben si potrebbero dire di lucida visione. — «Oh, è pur vero, o Guglielmo» — scrive il Werther, nella sua lettera del 22 agosto — «che quando noi veniamo meno a noi stessi, ci vien meno intorno a noi ogni cosa!» — Qui la verità prorompe, quasi malgrado di sè medesima, fuori dall’intime latèbre dell’anima, sì che la diresti un avvertimento divino.

Ma chi potrebbe valutare le forze tutte del suicida, se invece di educare sè medesimo all’abitudine dei sani e gagliardi pensieri, non le avesse miseramente sciupate, trascinando il cuore di debolezza in debolezza, trascinando la mente di sofisma in sofisma, per giungere all’impotenza morale e al paradosso?

E i sofismi, di cui suol essere lastricata la Via Crucis dell’amore, sono pur sempre quei medesimi; onde

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