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L'UOMO DI MONDO 183

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Smeraldina. Sì, caro fio, soffrilo per amor mio.

Truffaldino. Comando mi in sta casa.

Lucindo. Mi scacciate, perchè non ho denari in tasca; ma può essere che io ne abbia, e non voglia averne.

Truffaldino. Sior Lucindo, mi son un galantomo. Do bone parole me quieta subito. Lo gh’averavela sto mezo ducato?

Lucindo. Vi tomo a dire, non l’ho.

Truffaldino. E mi ve tomo a dir, che mia sorela l’è una putta da maridar, e no se vien a farghe perder le so fortune.

Smeraldina. Lassè che el diga. Vegnighe, che sè paron.

Lucindo. Quando Smeraldina è contenta...

Truffaldino. Se ela l’è contenta, mi no son contento. Animo, fora de sta casa.

Lucindo. Voi mi volete precipitare.

Smeraldina. No femo strepiti, che se sussurerà la contrada.

Lucindo. Me ne anderò dunque.

Smeraldina. (Andè, e tornerè[1] co no ghe sarà più mio fradelo). (piano a Lucindo)

Truffaldino. Coss’eli sti secreti? Vôi saver anca mi.

Lucindo. Vado via dunque.

Truffaldino. A bon viazo.

Lucindo. Addio, cara. (piano a Smeraldina, prendendole la mano)

Truffaldino. Zoso quele man, che le putte no le se tocca.

Lucindo. Se non fosse per Smeraldina... basta... è meglio ch’io me ne vada. (parte)

SCENA XV.

Truffaldino, Smeraldina, poi Momolo.

Smeraldina. Aveu mo fatto una bella cossa?

Truffaldino. Siora sì, ho fatto el mio debito. In sta casa no ghe voggio nissun. Lavè i vostri drappi, tendè a vu, e no ve fè svergognar.

Smeraldina. Sè ben deventà un omo de garbo da poco in qua.

  1. Zatta: tornè.
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