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196 ATTO SECONDO

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Momolo. Ve farò veder mi, come che se fa. (l’incalza)

Ottavio. Bene, bene, vi tratterò come meritate. (ritirandosi)

Momolo. Ve la scavezzerò quella spada. (incalzandolo)

Ottavio. Troverò la maniera di vendicarmi. (parte)

SCENA VI.

Momolo, poi Ludro.

Momolo. Me vien da rider de sti spadacini! i porta la spada, e no i la sa doperar. Tanti e tanti va in spada, perchè no i gh’ha bezzi da comprarse un tabaro. Sentili a parlar, i xe tanti Covielli; metteli alla prova, i xe tanti paggiazzi. I crede che in sto paese no se sappia manizar la spada; ma mi darò scuola a quanti che i xe. Insolenze no ghe ne fazzo, ma no voggio che nissun me zappa sui pie. Cortesan, ma onorato. Me despiase, che son de botto al sutto de bezzi[lower-alpha 1]; bisognerà trovarghene. Za se spendo, spendo del mio; no son de quelli che fazza star.

Ludro. Schiavo, sior Momolo.

Momolo. Schiavo, compare Ludro.

Ludro. Me despiase a darve una cattiva nova.

Momolo. Coss’è sta?

Ludro. Me despiase averve da dir che la piezaria, che m’ave fatto per quel foresto, toccherà a vu a pagarla.

Momolo. Son galantomo: la parola, che v’ho dà, ve la mantegnirò. Se nol pagherà elo, pagherò mi.

Ludro. E pò qualchedun v’averà da reffar.

Momolo. Chi voleu che me reffa?

Ludro. Oh bella! no se salo? La forestiera.

Momolo. Ti xe un gran baron, Ludro.

Ludro. Tra nu altri se cognossemo.

Momolo. Sastu cossa che gh’è da niovo?

  1. Vicino ad esser senza denaro.
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