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224 ATTO TERZO

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Smeraldina. Cossa porlo dir? Magnemio gnente del soo?

Lucindo. Se sa che voi mi avete dato l'anello da impegnare, povero me!

Smeraldina. Vardè che casi! l’anello xe mio, el me xe sta donà, posso far quel che voggio.

Lucindo. Chi ve l’ha dato? Il signor Momolo?

Smeraldina. Sì ben, Momolo me l’ha dà.

Lucindo. Un giorno spero che anch’io sarò in caso di regalarvi.

Smeraldina. Me basta che me voggiè ben.

Lucindo. Mi dispiace in verità; ho rossore a pensare che, in vece di donarvi qualche cosa del mio, abbia dovuto, per fare una piccola cena, impegnare un vostro anelletto.

Smeraldina. Mo via, fenila; no parlè de ste cosse, ve darave altro che un anello. Se vadagnerò, sarè paron de tutto.

Lucindo. Le cose mie non anderanno sempre così.

Smeraldina. Sentì sto potacchietto, che ho fatto co le mie man.

Lucindo. Buono da vero. Tutto quello che fate voi, è squisito.

Smeraldina. Disè, Lucindo, me sposereu?

Lucindo. Non passa un anno, che voi siete mia moglie.

SCENA VII.

Truffaldino e detti.

Truffaldino. Patroni, bon pro ghe fazza.

Lucindo. L’ho detto.

Smeraldina. Chi v’ha averto la porta?

Truffaldino. L’ho averta mi.

Smeraldina. Senza chiave? Come aveu fatto?

Truffaldino. Ho cazzà la spada in te la sfesa della porta. Ho alzà el saltarello[lower-alpha 1] e ho averto, patrona.

Smeraldina. Caspita, donca bisogna[1] che fazza giustar la porta. Me arecordo che una volta anca sior Momolo ha averto cussì. Voggio dar el caenazzo.

  1. Saliscendi.
  1. Paperini: Caspita donca; bisogna ecc.
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