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272 | ATTO PRIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu{{padleft:326|3|0]]
Dottore. Io lo credo sicuramente.
Momolo. Saroggio patron dei campi?
Dottore. Quasi quasi ve lo prometto.
Momolo. Me consolè, me fè tornar dies’anni più zovene. Sieu benedetto. Porteve ben. Me despiase che no gh’ho adosso cento zecchini, che ve li voravè donàr.
Dottore. Sfortuna mia veramente, ma non importa, son certo della sua riconoscenza.
Momolo. Savè chi son[1]; no vardo bezzi, no vardo roba; poverazzo! Se vegnù a posta per avvisarme!
Dottore. Certo, e ho lasciato tutti i miei affari.
Momolo. M’avè trovà in cattiva occasion. Ma aspettè, no vol che partì scontento. Tolè sto anello; godelo per amor mio. (vuol dargli l’anello, che ha esibito a Clarice)
Dottore. Oh, non permetterò mai....
Momolo. Tolelo, ve digo. Quando esebisso, esebisso de cuor.
Dottore. Lo prenderò, per non ricusar le sue grazie.
Momolo. E stassera porteme la nova[2].
Dottore. Questa sera.
Momolo. E sora tutto, che liberemo el sequestro.
Dottore. Sarà liberato.
Momolo. Disponè de cento zecchini.
Dottore. Obbligatissimo. (Questi sono clienti che meritano di esser serviti. Voglia il Cielo, che riesca bene. Ma lo spero con fondamento). (parte)
SCENA XV.
Momolo solo.
Momolo. Se va ben sto negozio, se sti campi me torna in casa, tomo a metterme in piè[3]. Se tratta de sie mile ducati d’intrada. Se se giustessimo, me contenterave de quattro mile. Sto Dottor el xe un ometto de garbo. El merita tutto. Gh’ho donà