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IL PRODIGO 315

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SCENA XI.

Momolo solo.

Momolo. Possio esser più strapazzà? Costori i magna el mio pan, e no i me cognosse gnanca per patron. Ma i gh’ha rason, el fattor xe assae più paron de mi, perchè ghe lasso far tutto a elo; e co ghe domando bezzi, par che el me li daga per carità. Sto negozio de sto formento in tel so graner me dà un pochetto da sospettar. Da qua avanti voggio averzer i occhi. Sempre fe vu, sempre fe vu, no la xe una cossa che staga ben. No vorave, che col fe vu, el fasse tutto per elo e gnente per mi.

SCENA XII.

Trappola e detti.

Trappola. È vero, che V. S. mi domanda?

Momolo. Sior sì; aveu vendù el formento?

Trappola. L’ho venduto.

Momolo. A che prezzo? quanti stari gerelo? quanti bezzi avemio cavà?

Trappola. Non ha ella avuto dieci zecchini?

Momolo. Sì ben, li ho avudi, e m’ave dito de mostrarme el conto. Animo, dove xelo?

Trappola. Adagio, con un poco di flemma, ci sarà il conto, vederà i fatti suoi.

Momolo. Diseme, caro vu, perchè portar el formento in tel vostro graner?

Trappola. Chi ha detto che lo porto[1] nel mio granaio?

Momolo. Me l’ha dito chi lo sa. Ve despiase che lo sappia? ghe xe sotto qualche scondagna[2]?

Trappola. Mi maraviglio. Sono un galantuomo. Si è messo il grano nel mio granaio per far servizio al compratore.

  1. Zatta: che l’ho portato.
  2. Scondagna, azione nascosta.
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