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476 ATTO SECONDO

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Rosaura. Che dite fra di voi stesso? Meditate forse qualche novello inganno?

Florindo. Mi stupisco, come abbiate potuto introdurvi in mia casa, prevenire il mio arrivo ed affascinare mio padre.

Rosaura. Ed io stupisco, come abbiate potuto abbandonarmi, tradirmi e de’ vostri giuramenti scordarvi.

Florindo. Orsù, abbiate giudizio, che sarà meglio per voi.

Rosaura. Come! Minacce ancora? Indiscreto, incivile, così trattate chi tante prove della sua fede vi ha date? Barbaro! Così ricompensate il mio affetto? Almeno mi compatiste, chiedeste almeno perdono. Ma no, ostinato, perverso, mi odiate, mi deridete, mi maltrattate. Ma senti, senti, spietato, saprò vendicarmi. Sarò una furia per tormentarti. No, che un torto sì grande non si può soffrire.

SCENA XV.

Dottore e detti.

Rosaura. (Oimè! Ecco il signor Dottore), (da sè) No, che non si può soffrire un sì gran torto; mi maraviglio di voi.

Dottore. Che ci è di nuovo? Che cos’è questo rumore?

Florindo. (Ecco scoperta ogni cosa). (da sè)

Rosaura. Signore, io non posso soffrire che mi venga negata la verità. Questo vostro signor figliuolo ha delle massime troppo scolastiche. Non sa dir altro che nego maiorem, nego minorem. Che cos’è questo nego? qui totum negat, nihil probat. Bisogna distinguere, distingue textus et concordabis iura, dicono i Legisti. E poi dirmi: nego suppositum? Questa è una mentita, ed io dovrò soffrirla? La soffro, perchè sono in casa vostra, perchè è vostro figlio, peraltro me ne farei render conto. Ma piano, piano, ci[1] toccheremo la mano. Vi pianterò un paio d’argomenti in Barbara, che non saprete da qual parte guar-

  1. Bettin.: si.
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