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LA DONNA DI GARBO | 487 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu{{padleft:543|3|0]]
Rosaura. Verrò per ubbidirvi.
Dottore. Ora[1] mi sembra di essere veramente felice[2]. (parte)
SCENA V.
Rosaura, poi Momolo.
Rosaura. Questa promessa già è invalida, avendo io impegnata anteriormente a Florindo la fede. Così mi giova per terminar il disegno. Compatirà il Dottore un inganno, che verun pregiudizio alfin non gli apporta.
Momolo. Siora Rosaura, patrona reverita.
Rosaura. Serva, signor Momoletto.
Momolo. Tutta sta notte m’ho insunià[lower-alpha 1] de vu.
Rosaura. Ed io ho dormito saporitissimamente.
Momolo. Ma! Co se gh’ha el cuor ferio, no se poi dormir.
Rosaura. Prendete questa lettera e date ristoro alle vostre ferite.
Momolo. De chi ela sta lettera?
Rosaura. Della signora Diana.
Momolo. Mo no saveu cossa che ho dito? No ve arecordè più?
Rosaura. Che cosa avete detto?
Momolo. Che ve voggio vu.
Rosaura. Eh via, caveve[lower-alpha 2].
Momolo. Come! Me voltè le carte in man[lower-alpha 3]?
Rosaura. Oh, vien gente. Siete venuto per trovar il signor Florindo?
Momolo. Sì, ma vorave... Cara fia, no me impiantè.
Rosaura. Andate, egli è in quella camera; andate che poi parleremo.
Momolo. Se me burlè, me ficco un cento e vinti[lower-alpha 4] in tel stomego.
(va in camera)