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LA DONNA DI GARBO 497

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Florindo. Con Isabella non ho altro debito, che quello di averle promesso la mia fede.

Dottore. Dunque la possiamo rimandare a Pavia.

Isabella. Morirò, piuttosto che tornare svergognata alla patria.

Dottore. Ma Florindo sposarvi non può.

Isabella. Ed io nè meno sposar lo vorrei. Dia pur la mano a Rosaura, cui prima diede la fede, e con cui ha maggior debito. Io andrò[1] raminga pel mondo, bestemmiando l’orrido tradimento di quell’indegno.

Rosaura. Se Florindo non ricusa d’esser mio sposo, prenderò io la cura del destino della signora Isabella.

Florindo. Cara Rosaura, sciolto dall’impegno d’Isabella, nulla ho di contrario per isposarvi. L’avrei fatto anche prima; ma Isabella mi era un ostacolo troppo grande.

Rosaura. Vi compatisco. Ho conosciuto abbastanza il tumulto del vostro cuore. Signora Isabella, conviene adattarsi alle congiunture e di due mali scegliere il minore. Vedete che il signor Florindo non può esser vostro[2]; per risarcire il vostro decoro, non basterebbe che un altro giovine civile ed onorato vi facesse sua sposa?

Isabella. Basterebbemi certamente. Il punto sta che si trovi, chi in una tal circostanza per tale mi accetti.

Rosaura. Lasciate fare a me. Signor Lelio, degnatevi d’ascoltarmi.

Lelio. Comandate, sapientissima Arianna, le di cui mani hanno il filo per qualunque intricatissimo laberinto.

Rosaura. Voi, che avete tutto eroismo il cuore, siete ora disposto a fare un’eroica azione?

Lelio. Son pronto a dar gloria al mio nome.

Rosaura. Mirate là quella povera dama. Ella è stata involata dalla casa paterna; ella è onorata in sostanza, ma pregiudicata nell’apparenza. Ecco un eroismo degno di voi. Salvate l’onore di una illustre donzella, e sarete assai più glorioso di Aristomene, di Caloandro e di don Chisciotte.

  1. Bettin.: Io per me andrò.
  2. Bettin. aggiunge: mentre voi stessa a me lo cedete.
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