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Rosaura. Pur troppo questi infedelissimi giovinotti sanno fingere al par di noi. Sono stata ingannata, egli è vero, ma vi giuro però che voglio fare le mie vendette.

Diana. Hai ben ragione. Ma come vuoi vendicarti?

Rosaura. Con tutta l’arte possibile ad una donna: voglio far innamorare di me quanti mi capitano alle mani, ma a solo fine di farne strage, e vendicarmi dell’onte ricevute da quell’indegno.

Diana. Ma per la colpa di un reo, vuoi punire tanti innocenti?

Rosaura. Sì, signora, udite come a mio proposito parla il Tasso.

  Purchè il reo non si salvi il giusto pera,
  E l’innocente: ma qual giusto io dico?
  È colpevol ciascun, nè in loro schiera
  Uom fu giammai del nostro nome amico.

Ma! ecco vostro padre; chinate gli occhi; unite le mani sopra del grembo; strignete la bocca, e lasciate ch’io parli.

SCENA VII[1].


Beatrice. Tu sei una donna di garbo. Non mi allontanerò da’ tuoi consigli.

Rosaura. Circa poi al conversare, suppongo che saprete far bene la vostra parte. Tuttavolta devo avvisarvi che procuriate d’essere universale in sostanza, ma singolare nell’apparenza. Mi spiego: Guardatevi di concedere ad alcuno il possesso del vostro cuore, e lusingate ciascheduno di possederlo. Uniformatevi al carattere di tutte le persone, se volete occupare il loro arbitrio. Abbondate negl’inchini, nelle riverenze, nelle parole melate, nelle cortesie, nel buon tratto, e così vi acquisterete buon nome, onde rendendovi in tal maniera padrona de’ principali soggetti, ricor-

  1. Dalle edd. Bettin. e Paper.: dove questa è la sc. VI.
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