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562 ATTO PRIMO

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SCENA XVI.

Truffaldino, poi Pantalone.

Truffaldino. Mo l’è andada ben, che no la podeva andar meio. Son un omo de garbo; me stimo cento scudi de più de quel che no me stimava.

Pantalone. Disè, amigo, el vostro patron xelo in casa?

Truffaldino. Sior no, noi ghe xe.

Pantalone. Saveu dove che el sia?

Truffaldino. Gnanca.

Pantalone. Vienlo a casa a disnar?

Truffaldino. Mi crederave[1] de sì.

Pantalone. Tolè, col vien a casa, deghe sta borsa co sti cento ducati. No posso trattegnirme, perchè gh’ho da far. Ve reverisso. (parte)

SCENA XVII.

Truffaldino, poi Florindo.

Truffaldino. La diga, la senta. Bon viazo. Nol m’ha gnanca dito a qual dei mii padroni ghe l’ho da dar.

Florindo. E bene, hai tu ritrovato Pasquale?

Truffaldino. Sior no, non l’ho trova Pasqual, ma ho trovà uno, che m’ha dà una borsa con cento ducati.

Florindo. Cento ducati? Per farne che?

Truffaldino. Disim la verità, sior patron, aspetteu danari da nissuna banda?

Florindo. Sì, ho presentata una lettera ad un mercante.

Truffaldino. Donca sti quattrini i sarà vostri.

Florindo. Che cosa ha detto chi te li ha dati?

Truffaldino. El m’ha dit, che li daga al me padron.

Florindo. Dunque sono miei senz’altro. Non sono io il tuo padrone? Che dubbio c’è?


  1. Zatta: ma, crederave.
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