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616 ATTO TERZO

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Smeraldina. Fatta, fatta.

Silvio. Deh signora Clarice, per carità. (tenendola per la mano)

Clarice. Ingrato!

Silvio. Cara.

Clarice. Inumano!

Silvio. Anima mia.

Clarice. Cane!

Silvio. Viscere mie.

Clarice. Ah! (sospira)

Pantalone. (La va). (da sè)

Silvio. Perdonatemi per amor del cielo.

Clarice. Ah! Vi ho perdonato. (sospirando)

Pantalone. (La xe andada).

Dottore. Via, Silvio, ti ha perdonato.

Smeraldina. L’ammalato è disposto, dategli il medicamento.

SCENA XV.

Brighella e detti.

Brighella. Con bona grazia, se poi vegnir? (entra)

Pantalone. Vegnì qua mo, sior compare Brighella. Vu sè quello che m’ha dà da intender ste belle fandonie, che m’ha assicura che sior Federigo gera quello, ah?

Brighella. Caro signor, chi non s’averave ingannà? I era do fradelli che se somegiava come un pomo spartido. Con quei abiti averia zogà la testa che el giera lu.

Pantalone. Basta; la xe passada. Cossa gh’è da niovo?

Brighella. La signora Beatrice l’è qua, che la li voria reverir.

Pantalone. Che la vegna pur, che la xe parona.[1]

Clarice. Povera signora Beatrice, mi consolo che sia in buono stato.

Silvio. Avete compassione di lei?


  1. Segue nelle edd. Paper., Savioii ecc.: «Brig. Caro sior compare, la prego de compatimento. L’ho fatto senza malizia, ghe lo zuro da galantomo. (Certo che a tor diese doppie non ho avudo una malizia al mondo). parte».
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