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112 ATTO PRIMO

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Zanetto. No me curo gnanca[lower-alpha 1] de vederla.

Florindo. Oh sì, farete bene. Non ve ne curate più. Fate a mio modo, tornate a casa vostra.

Zanetto. Cussì diseva anca mi.

Florindo. Posso servirvi in conto alcuno?

Zanetto. La so grazia.

Florindo. A rivederci.

Zanetto. La reverisso.

Florindo. (Pare diventato uno sciocco. Amore fa de’ brutti scherzi). (da sé, parte)

SCENA XVIII.

Zanetto e poi Pancrazio.

Zanetto. Se no vegniva sto sior, stava fresco. Stimo che tutti sa che quella patrona[lower-alpha 2] la m’ha dà un schiaffo. Pazenzia. Sto zovene me vol ben. El me conseggia che vaga via. Ma penso pò anca che Rosaura la me piase, e che se la fusse mia muggier, gh’averave gusto. Me despiase che Arlecchin no xe gnancora vegnù co sti bezzi e co sta roba, che ghe vorave far un regalo e giustarla.

Pancrazio. (Ecco qui quel baccellone di Zanetto. Si aggira intorno di questa casa e non sa allontanarsene). (da sé)

Zanetto. La m’ha dà un schiaffo, donca la me vol mal. Ma no, anca mia siora mare la me dava dei schiaffi e la me voleva ben. Finalmente no la m’ha miga coppà: eh, che son matto. No voggio desgustarla. Voggio andar subito a domandarghe perdonanza. (va verso la casa del Dottore)

Pancrazio. Quel giovine, dove andate?

Zanetto. Vago dalla mia novizza.

Pancrazio. Da quella che vi ha dato lo schiaffo?

Zanetto. Siben, giusto da quella.

Pancrazio. E andate con risoluzione di pacificarvi e di sposarla?

  1. Gnanca, né anche.
  2. Patrona per signora.
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