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150 ATTO TERZO

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Zanetto. Sè un busiaro, che no contè altro che fandonie. M’ave anca dito che le donne gh’ha i occhi de fogo, e no xe vero gnente.

Pancrazio. Signor bargello, costui è un pazzo. Datemi quelle gioje.

Bargello. O pazzo, o savio, le gioje le porteremo dal giudice, e toccherà a Vossignoria a far conoscere chi glie l’abbia date. Andate, scarcerate Arlecchino e conducetelo dal giudice ben custodito. (ai birri, e parte)

Pancrazio. Troverò testimoni. Ora, subito, il signor Dottore, Brighella, la signora Rosaura, Colombina: tutta, tutta la casa del Dottore... ora... subito... vado... aspettatemi... vengo... la mia riputazione, la mia riputazione, la mia riputazione, (parte)

SCENA V.

Zanetto e il Bargello.

Zanetto. Mo via, deme le mie zogie. No me fe desperar.

Bargello. Andiamo dal giudice, e se egli dirà che gliele dia, gliele darò.

Zanetto. Cossa ghe intra el giudice in te la mia roba?

Bargello. Senza di lui non gliele posso dare.

Zanetto. E se lu no volesse che me le dessi?

Bargello. Non gliele darei.

Zanetto. Mo cossa ghe ne faressi?

Bargello. Quello che il giudice comandasse.

Zanetto. Donca le posso perder?

Bargello. Sicuramente, senza dubbio.

Zanetto. Gera meggio lassarle a quel vecchio, che almanco a robarle l’ha fatto qualche fadiga.

Bargello. Ha timore che il giudice gliele rubi?

Zanetto. Le xe mie e per causa soa le posso perder. Dal robarle a no darle a chi le tocca[lower-alpha 1], ghe fazzo poca defferenza.

Bargello. Faccia così, si provveda d’un avvocato.

  1. A chi le tocca, a chi spettano.
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