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530 ATTO PRIMO

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Momola. Oh, mi l’amor? (vergognandosi)

Catte. Via, via, no te vergognar. Senti, se ti gh’ha genio de maridarte, confidete in mi e no te dubitar.

Momola. Me fè vegnir rossa.

Catte. Ah matazza ve, te cognosso. Dime, gh’astu gnente de bon da marenda?

Momola. Gh’ho un’ala de polastra, che me xe avanzada giersera.

Catte. Polastra? Caspita! La se stica[1].

Momola. Sior Pantalon ghe n’ha portà una cota in manega[2].

Catte. Xela bona?

Momola. Preziosa.

Catte. Cara ti, sentimola.

Momola. Volentiera. Andemo. Disè: me volè maridar?

Catte. Sì, co ti vorà.

Momola. Oh che cara siora Cate. (parte)

Catte. O de ruffe, o de raffe, vogio magnar seguro. (parte)

SCENA VIII.

Camera del marchese Ottavio.

Il marchese Ottavio[3] in veste da camera, poi Brighella.

Ottavio[4]. (Passeggia alquanto, battendo i piedi, poi chiama) Brighella.

Brighella. Lustrissimo.

Ottavio. (Seguita a passeggiare e non parla.)

Brighella. M’hala chiamado?

Ottavio. Sì.

Brighella. Cossa comandela?

Ottavio. Non lo so nemmen io.

Brighella. Co no la lo sa ela, chi l’ha da saver?

Ottavio. Sei stato dal macellaro?

Brighella. Son stà mi.

  1. Si gode, si sguazza. Boerio.
  2. Manica. Si conosce l’uso degli antichi Veneziani di riporre nelle larghe maniche a còmeo (gomito) fazzoletti, scritture e anche cibi.
  3. Nella ediz. Bettinelli c’è solo: il Marchese.
  4. Invece di Ottavio, il Bettin. stampa sempre il March.
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