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578 ATTO SECONDO

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Ottavio. Si serva Vossignoria, non m’importa.

Beatrice. Io non ne voglio.

Ottavio. Nè men io. Brighella.

Brighella. Lustrissimo.

Ottavio. Dammi da vestire.

Beatrice. Perchè son venuta io, non volete altro.

Ottavio. Ehi, dammi il vestito con gli alamari d’oro.

Brighella. (Nol ghe n’ha altri). (da sè) (Va e torna coll’abito.)

Beatrice. Che diavolo! vi sono odiosa?

Ottavio. Brighella, la finisci?

Brighella. Son qua. (lo veste)

Beatrice. Denari non vi sarà più caso d’averne.

Ottavio. Tira ben su da questa parte. (con collera)

Beatrice. Datemi almeno il mio mezzo filippo.

Ottavio. La spada. (a Brighella, che lo va servendo)

Beatrice. Vi ho pur prestati io quattro zecchini.

Ottavio. La spada, il cappello, il[1] bastone, (a Brighella, alterato)

Beatrice. Fate il sordo? Non mi rispondete?

Ottavio. (La Catte... se la trova... eh, non m’importa), (da sè)

Beatrice. Andate via?

Ottavio. Per servirla. (le fa una riverenza, e parte con Brighella)

SCENA XVI.

La marchesa Beatrice e Catte nascosta, poi Brighella.

Beatrice. Maledetto giuoco! Maledettissimo giuoco! Sempre perdere, sempre perdere. Che fatalità è questa? Ma chi sa che chi mi ha guadagnati i miei denari, non li abbia guadagnati come ha fatto mio marito al povero Pasqualino? Io ho sempre quel vizio di caricar sempre i terzetti e i quartetti, e se vi è qualcheduno che sappia fare delle fattucchierie colle carte, appunto le può praticare nel far venire i terzetti e i quartetti primi.

  1. Sav. e Zatta; ed il.
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