< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
556 ATTO SECONDO

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, III.djvu{{padleft:572|3|0]] Perderemo l’eredità? Il signor dottor Balanzoni trionferà? Mi burlerà? Chi sa! può essere anche di no. Non son tanto indietro colle scritture; non son tanto miserabile di cervello, che non sappia trovare un ripiego. Quello che più mi preme, è la vita del mio figlio. Del rimanente poi ci penseremo. (entra in casa)

SCENA VIII.

Canera di Pancrazio con due porte.

Arlecchino, conducendo Florindo all’oscuro.

Arlecchino. La vegna con mi, e no la s’indubita niente.

Florindo. Ma dove mi guidi?

Arlecchino. In camera della siora Rosaura.

Florindo. E dove è questa camera?

Arlecchino. L’ha da esser qua, ma non trovo la porta. (cercando la porta)

Florindo. Ci sarà in camera la signora Rosaura?

Arlecchino. Sior no, ma mi l’anderò avvisar.

Florindo. Fa presto... Veggo un lume, nascondiamoci.

Arlecchino. Andemo in camera. (cercandola)

Florindo. Dove sarà?

Arlecchino. Non lo so.

Florindo. È quella? (al lume che vede di lontano, scopre la camera di Rosaura)

Arlecchino. Sior sì, l’è quella: sta luse me fa servizio.

Florindo. Mi celo, per non esser sorpreso[1] (entra nella camera)

Arlecchino. E mi vad a avvisar siora Rosaura. Ho fat polito. Son un omo de garbo; no merit una Fiammetta, ma diese Fiammette. (parte)

SCENA IX.

Pancrazio[2] ed Ottavio col lume.

Ottavio. Si può sapere, signor padre, che cosa pretendiate da me? Per amor del cielo, lasciatemi nella mia libertà.

  1. Zatta: per non essere scoperto.
  2. Vedasi Appendice.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.