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562 ATTO SECONDO

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Rosaura. Io non so nulla...

Florindo. Non lo sapeva la signora Rosaura ch’io era qui? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Non lo sapeva.

Florindo. Come non lo sapeva? Lo sapeva. (alterato)

Arlecchino. Lo sapeva.

Florindo. Sentite? (a Pancrazio) Non son venuto io qui per ordine della signora Rosaura? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Signor sì.

Rosaura. Mentisci, temerario.

Pancrazio[1]. Chi ti ha dato quest’ordine? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Ande via, che no gh’avì da intrar e no l’avì da saver. (a Pancrazio)

Florindo. Non doveva io parlare allo scuro colla signora Rosaura? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Sior sì, ma no gh’ha da esser el patron.

Pancrazio[2]. Chi ti ha detto che non vi ho da essere?

Arlecchino. Me l’ha dito...

Florindo. Orsù, signor Pancrazio, la cosa è ormai troppo chiara, e mi fate ingiuria cercando testimonianze maggiori della verità.

Pancrazio[3]. Costui è un pappagallo; non si sa quel che dica.

Arlecchino. Me maravei, son un omo che parla come i omeni; so quel che digo, e quel che digo vu no l’avi da capir. Cercava siora Rosaura, perchè l’era aspettada a scuro; i s’ha trovà coll’amigo, bon prò ghe fazza, ma vu no gh’ave da essere. Fiammetta, t’aspetto in cusina.

Fiammetta. A che fare?

Arlecchino. To fradello mor de voia de deventar me cugnà, e tutti i me amici no i vede l’ora che me marida. (parte)

Fiammetta. Aspetteranno un pezzo.

  1. Bett.: «Pant. Chi l’ha dà sto ordine?»
  2. Bett.: «Pant. Chi l’ha dito che no gh’ho da esser?»
  3. Bett.: «Pant. Costù l’è un pappagallo; no se sa cosso diavolo che el diga».
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