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146 ATTO SECONDO

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Arlecchino. E mi far tutto? Ma se mi fadigar come aseno, seguro voler magnar come porco, patron. (va, e torna con un abito da uomo)

Florindo. Oh, come vuol arrivar nuova a mia moglie questa mia risoluzione!

Arlecchino. Patron, sentir carrozza; vegnir patrona, (con l'abito)

Florindo. Presto, presto, termina il baule; e s’ella t’ordinasse diversamente, seguita a fare il fatto tuo. Dille ch’io te l’ho comandato, che sei in necessità d’obbedirmi; e avverti bene, che se non eseguirai i miei ordini, ti caricherò ben bene di bastonate.

Arlecchino. Per so grazia, no per mio merito.

Florindo. Voglio terminar di vestirmi, per esser pronto a partire. (parte)

Arlecchino. (Mette l’abito nel baule; se ne va a prendere un altro da donna, e mentre va per riporlo, incontra quelli che vengono.

SCENA III[1]).

Donna Rosaura, il conte Onofrio e detto.

Rosaura. Che cosa fai? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Metter in baula.

Rosaura. Ma perchè?

Arlecchino. Patron comandar.

Rosaura. Non istanno bene gli abiti nel guardaroba?

Arlecchino. No star ben roba a Palermo, se patron andar per viazzo.

Rosaura. Come? Il padrone in viaggio?

Arlecchino. Andar Castellamar subito, senza disnar.

Onofrio. (Oh, questa ci vorrebbe!) (da sè)

Rosaura. E se egli vuol andarsene, per che causa ha da portar seco la roba mia?

Arlecchino. Andar patron, andar patrona e anca povera moretta senza disnar.

  1. Manca questa scena nell’ed. Bett.
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