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246 ATTO SECONDO

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Eugenio. Ma quando tireremo il resto del panno?

Ridolfo. La non ci pensi. Spenda quelli, e poi qualche cosa sarà: ma badi bene di spenderli a dovere, di non gettarli.

Eugenio. Sì, amico, vi sono obbligato[1]. Ricordatevi nel conto del panno tenervi la vostra senseria.

Ridolfo. Mi maraviglio: fo il caffettiere e non fo il sensale. Se m’incomodo per un padrone, per un amico, non pretendo di farlo per interesse. Ogni uomo è in obbligo di aiutar l’altro quando può, ed io principalmente ho obbligo di farlo con V. S., per gratitudine del bene che ho ricevuto dal suo signor padre. Mi chiamerò bastantemente ricompensato, se di questi denari, che onoratamente gli ho procurati, se ne servirà per profitto della sua casa, per risarcire il suo decoro e la sua estimazione.

Eugenio. Voi siete un uomo molto proprio e civile: è peccato che facciate questo mestiere; meritereste meglio stato e fortuna maggiore.

Ridolfo. Io mi contento di quello che il cielo mi concede, e non iscambierei il mio stato con tanti altri che hanno più apparenza, e meno sostanza. A me nel mio grado non manca niente. Fo un mestiere onorato, un mestiere nell’ordine degli artigiani, pulito, decoroso e civile. Un mestiere che, esercitato con buona maniera e con riputazione, si rende grato a tutti gli ordini delle persone. Un mestiere reso necessario, al decoro della città, alla salute degli uomini, e all’onesto divertimento di chi ha bisogno di respirare. (entra in bottega)

Eugenio. Costui è un uomo di garbo: non vorrei però che qualcheduno dicesse che è troppo dottore. Infatti per un caffettiere pare che dica troppo; ma in tutte le professioni vi sono degli uomini di talento e di probità. Finalmente non parla nè di filosofia, nè di matematica: parla da uomo di buon giudizio: e volesse il cielo che io ne avessi tanto, quanto egli ne ha.

  1. Bett., Pap. ecc.: obbligato della vita.
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