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262 ATTO SECONDO

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Eugenio. Ridolfo, verrete anche voi a mangiare un boccone con noi.

Ridolfo. Le rendo grazie; io ho da badare alla mia bottega.

Eugenio. Eh via, non vi fate pregare.

Ridolfo. (Mi pare assai che abbia tanto cuore). (piano ad Eugenio)

Eugenio. Che volete voi fare? Giacchè ho vinto[1] voglio godere.

Ridolfo. E poi?

Eugenio. E poi, buona notte: all’avvenire ci pensan gli astrologhi. (entra nella locanda)

Ridolfo. (Pazienza! Ho gettata via la fatica). (da sè, si ritira)

SCENA XVI.

Don Marzio e il conte Leandro.

Don Marzio. Via, andate a prendere la ballerina.

Leandro. Quando sarà preparato, la farò venire.[2]

Don Marzio. Sediamo. Che cosa v’è di nuovo delle cose del mondo?

Leandro. Io di nuove non me ne diletto. (siedono)

Don Marzio. Avete saputo che le truppe moscovite sono andate a quartier d’inverno?

Leandro. Hanno fatto bene: la stagione lo richiedeva.

Don Marzio. Signor no, hanno fatto male; non dovevano abbandonare il posto che avevano occupato.

Leandro. È vero. Dovevano soffrire il freddo, per non perdere l’acquistato.

Don Marzio. Signor no: non avevano da arrischiarsi a star lì, con pericolo di morire nel ghiaccio.

Leandro. Dovevano dunque tirare avanti.

Don Marzio. Signor no. Oh che bravo intendente di guerra! Marciar nella stagione d’inverno!

Leandro. Dunque, che cosa avevano da fare?

  1. Bett.: guadagnato.
  2. Bett. continua: Sediamo un poco.
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