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290 ATTO TERZO

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Placida. Io a Venezia non ci sono più stata.

Lisaura. Siete una bugiarda. L’anno passato avete fatta una trista figura in questa città. (don Marzio osserva e ride, come sopra)

Placida. Chi v’ha detto questo?

Lisaura. Eccolo lì; il signor don Marzio me l’ha detto.

Don Marzio. Io non[1] ho detto nulla.

Placida. Egli non può aver detto una tal bugia; ma di voi sì mi ha narrata la vita e i bei costumi. Mi ha egli informata dell’esser vostro, e che ricevete le genti di nascosto, per la porta di dietro.

Don Marzio. Io non l’ho detto. (sempre coll’occhialetto di qua e di là)

Placida. Sì che l’avete detto.

Lisaura. È possibile che il signor don Marzio abbia detto di me una simile iniquità?

Don Marzio. Vi dico non l’ho detto.

SCENA XXII.

Eugenio alla finestra de’ camerini, poi Ridolfo da altra simile, poi Vittoria dall’altra, aprendole di mano in mano; e detti a’ loro luoghi.

Eugenio. Sì che l’ha detto, e l’ha detto anche a me, e dell’una e dell’altra. Della pellegrina, che è stata l’anno passato a Venezia a birboneggiare[2], e della signora ballerina, che riceve le visite per la porta di dietro.

Don Marzio. Io l’ho sentito dir da Ridolfo.

Ridolfo. Io non son capace di dir queste cose. Abbiamo anzi altercato per questo. Io sosteneva l’onore della signora Lisaura, e V. S. voleva che fosse una donna cattiva.

Lisaura. Oh disgraziato!

Don Marzio. Sei un bugiardo.

Vittoria. A me ancora ha detto che mio marito teneva pratica

  1. Bett. e Pap. Io? Non.
  2. Bett.: birbantare.
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