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L'ADULATORE 455

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Conte. (Donna Luigia ha queste pazzie nel capo? Ora intendo gli enigmi de’ suoi graziosi discorsi).

Luigia. (Va bene?) (a don Sigismondo)

Sigismondo. (Benissimo).

Luigia. (Si è dichiarato?)

Sigismondo. (Apertamente).

Luigia. (Per me?)

Sigismondo. (Per Vostra Eccellenza).

Luigia. (Posso parlar liberamente?)[1]

Sigismondo. (Ancora no).

Luigia. (Perchè?)

Sigismondo. (Ha i suoi riguardi. Parleremo con comodo). Signor Conte, la mia padrona non è niente disgustata per le dichiarazioni che mi ha fatte.

Luigia. No, Conte, anzi starò più cheta, or che vi siete spiegato.

Conte. Io credeva essermi bastantemente spiegato alla prima.

Luigia. Eppure io non vi aveva capito.

Conte. O che non mi avete voluto capire.

Luigia. Può anche darsi, furbetto, può anche darsi.

Sigismondo. Due ingegni così sublimi si devono facilmente intendere.

Luigia. Guardate, don Sigismondo, il bell’anello che mi ha regalato il Conte.

Conte. Quello era destinato...

Sigismondo. Era destinato per la signora donna Luigia, nè doveva passare in altre mani che nelle sue.

Conte. Eppure...

Sigismondo. Eppure, quasi più... Basta, so io quel che dico.

Luigia. Lo so ancor io.

Conte. Anch’io v’intendo.

Sigismondo. Ecco, tutti tre c’intendiamo.

  1. Nelle edd. Pasquali e Zatta, forse per errore, segue subito: «Sigism. Signor Conte, la mia padrona ecc.».
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