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IL POETA FANATICO 551

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Ottavio. Vien Nice a scior la chiara voce al canto.

Brighella. Oh caro!

Ottavio. Sovra i garruli cigni avrai tu il vanto.

Brighella. Garruli cigni. Oh benedetto!

Ottavio. Vanto per cui lo stesso Apol s’adira.

Brighella. Oh che roba! Vanto per cui lo stesso Apol s’adira.

Beatrice. E così, è finito?

Ottavio. Senti quest’altra quartina[1].

Beatrice. Il mezzogiorno è sonato.

Ottavio. Questo mio cor, che per te sol delira.

Brighella. Delira. La me daga i bezzi, e vago subito. (a Beatrice)

Beatrice. Tieni, questo è un paolo.

Ottavio. Te invita, o bella, a respirar alquanto.

Brighella. Alquanto.

Beatrice. Compra sei pani, e il resto frutti.

Ottavio. Deh, non sdegnar di starti meco accanto.

Beatrice. Tu non mi abbadi. (a Brighella)

Brighella. Signora sì.

Beatrice. Che cosa ti ho detto?

Ottavio. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira.

Brighella. Oh vita mia!

Beatrice. E così?

Brighella. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira.

Beatrice. Va a comprare il pane, che ti caschi la testa.

Ottavio. Vanne, che la mia sposa omai s’adira.

Brighella. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira. (parte)

SCENA VI[2].

Ottavio e Beatrice.

Ottavio. Oh bravo! Oh bravo! Che bell’estro ha costui! Se avesse studiato, sarebbe un portento.

Beatrice. Avrei bisogno di discorrervi d’un’altra cosa.

  1. Bett.: quest’altro quartetto.
  2. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
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