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582 ATTO SECONDO

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SCENA XI[1]

Ottavio che osserva e detti.

Ottavio. (Mia moglie accanto al poeta Veneziano?) (da sè)

Tonino. Come hala fatto a innamorarse[2] cussì presto?

Ottavio. (Innamorarsi?) (da sè)

Beatrice. Effetto del vostro merito.

Ottavio. Signori, li riverisco. (alterato)

Tonino. Servitor obligatissimo.

Ottavio. Come si divertono, padroni miei?

Tonino. Son qua che me dago l’onor de insinuar el gusto de la poesia nell’animo della siora Beatrice.

Ottavio. Eh, voi non me lo darete ad intendere. Beatrice è nemica della virtù.

Beatrice. Credetemi, marito mio, che ora principio a prenderci gusto.

Ottavio. Dite davvero?

Tonino. Me impegno in pochi zorni de farla poetessa.

Ottavio. Oh, la fortuna il facesse!

Beatrice. Se volete che impari qualche cosa, non mi sturbate[3].

Ottavio. No, non vi sturbo, vado via. Caro poeta mio, insegnatele i versi, le rime. Fate voi, mi raccomando a voi, vi sarò eternamente obbligato. Beatrice non griderà più contro le accademie, contro le Muse. Che siate benedetto! Caro poeta! Il cielo me l’ha mandato). (da sè, parte)

Beatrice. Avete sentito? Mio marito a voi mi raccomanda.

Tonino. E mi farò el mio dover.

Beatrice. M’insegnerete?

Tonino. Ghe insegnerò.

Beatrice. Ma quando principierete?

Tonino. Quando che la vol.

Beatrice. Sono impaziente d’apprendere le vostre lezioni.

Tonino. Vorla che adesso ghe scomenza a dar una lizionzina?

Beatrice. Mi farete piacere.

  1. Sc. IX nell’ed. Bett.
  2. Paper.: innamorarsene.
  3. Zatta: disturbate.
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