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I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE 449

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Beatrice. Sinora non lo conosco.

Arlecchino. Donca co no la lo cognosse, servitor umilissimo.

Beatrice. Dove vai?

Arlecchino. Vado via; co no la lo cognosse, averò fallà. Ghe baso la man.

Beatrice. Ma senti. Il tuo padrone da chi ti ha mandato?

Arlecchino. El m’ha manda.... el m’ha manda.... Chi èla vussioria?

Beatrice. Io sono Beatrice Anselmi.

Arlecchino. Giusto dalla signora... Radice di Seleno.

Beatrice. E cosa vuole da me?

Arlecchino. El m’ha dit che la reverissa, e che ghe domanda se l’è contenta.

Beatrice. Ma contenta di che?

Arlecchino. Oh bella! Cossa gh’intrio mi in ti interessi del me patron?

Beatrice. (Oh povera me!) (da sè) Il vostro padrone chi è? Chi è? Chi è[1]?

Arlecchino. No la ziga[lower-alpha 1], che no son sordo. Siora sì, l’è lu che el me manda, e se nol m’avesse manda lu, mi no la manderia ela.

Beatrice. Che tu sia maledetto! Non sai rispondere a tuono?

Arlecchino. Oh, ve casca la testa! No me savè intender.

Beatrice. Va via di qui, pezzo d’asino.

Arlecchino. Grazie, a bon reverirla.

Beatrice. Lasciano la porta aperta, ed entrano i bricconi.

Arlecchino. La diga: èla contenta, o non èla contenta?

Beatrice. Di che?

Arlecchino. Che el me padron vegna a reverirla?

Beatrice. Ah, dunque il tuo padrone vuol venire da me?

Arlecchino. Siora sì, ghe l’ho dito diese volte.

Beatrice. E chi è il tuo padrone?

  1. Gridare.
  1. Bett., in nota: gridando forte.
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