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LA LOCANDIERA 249

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Ortensia. In due parole vi sbrighiamo.

Dejanira. Due paroline, e non più, signore.

Cavaliere. (Maledettissimo Conte!) (da sè)

Conte. Caro amico, due dame che pregano, vuole la civiltà che si ascoltino.

Cavaliere. Perdonate. In che vi posso servire? (alle donne con serietà)

Ortensia. Non siete voi toscano, signore?

Cavaliere. Sì, signora.

Dejanira. Avrete degli amici in Firenze?

Cavaliere. Ho degli amici, e ho de’ parenti.

Dejanira. Sappiate, signore... Amica, principiate a dir voi. (ad Ortensia)

Ortensia. Dirò, signor Cavaliere... Sappia che un certo caso...

Cavaliere. Via, signore, vi supplico. Ho un affar di premura.

Conte. Orsù, capisco che la mia presenza vi dà soggezione. Confidatevi con libertà al Cavaliere, ch’io vi levo l’incomodo. (partendo)

Cavaliere. No, amico, restate... Sentite...

Conte. So il mio dovere. Servo di lor signore. (parte)

SCENA XIII.

Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.

Ortensia. Favorisca, sediamo.

Cavaliere. Scusi, non ho volontà di sedere.

Dejanira. Così rustico colle donne?

Cavaliere. Favoriscano dirmi che cosa vogliono.

Ortensia. Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra bontà.

Cavaliere. Che cosa vi è accaduto?[1]

Dejanira. I nostri mariti ci hanno abbandonate.

  1. Segue nelle edd. Pap., Bett. ecc.: «Ort. Dirò, signore... Dejanira, principiate voi. Cav. (Oh, mi seccano!) da sè. Deja. I nostri mariti ecc.».
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