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130 ATTO PRIMO

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Rosaura. Oh no, signore, non ci ho mai nemmeno pensato.

Pantalone. Ho capito. Ve marideressi, nevvero?

Rosaura. Bravo, signore zio. Alla terza ci avete colto.

Pantalone. Veramente ghe doveva chiappar alla prima.

Rosaura. Perdonatemi s’io vi parlo troppo liberamente. So che a me non converrebbe, ma l’occasione mi ha dato animo, e poi la campagna permette.

Pantalone. Sentì, fia mia, per maridarve no gh’ho gnente in contrario. La vostra dota xe pronta; se in età discreta; ma me despiase solamente restar solo in casa, senza una persona dal cuor. Se fosse viva vostr’amia[1], la mia cara muggier, v’averave maridà che saria un anno.

Rosaura. Caro signor zio, fate una cosa. Rimaritatevi ancora voi.

Pantalone. Eh via! Cossa diseu? Son troppo vecchio, (ridendo)

Rosaura. Siete ben tenuto, allegro, brillante. Ne trovereste di quelle poche, che vi prenderarmo; io, se trovassi un vecchietto grazioso come siete voi, lo prenderei senza nessuna difficoltà.

Pantalone. Sì? Lo toressi?

Rosaura. Perchè no?

Pantalone. Ve dirò: ghe xe sior Astolfo, omo de sessant’anni, ma ricco, civil e onorato. El xe mio amigo, so che el ve toria; vu lo toressi?

Rosaura. Signore... ho paura di no.

Pantalone. No diseu che toressi un vecchio?

Rosaura. L’ho detto, è vero. Ma...

Pantalone. Ma che?

Rosaura. Ma per dirvela, signore...

Pantalone. Toressi un zovene più volentiera.

Rosaura. Il signore zio è un uomo che legge nel cuore delle persone.

Pantalone. Trovarlo mo sto zovene.

Rosaura. Trovarlo?...

Pantalone. Sì, trovarlo. Bisogna aspettar che el capita.

  1. Zia.
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