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Corallina. La toga, la la beva subito, avanti che ghe daga zoso[1] la schiuma.

Ottavio. Oibò...

Corallina. Cos’è che la storze el naso? No la xe bona?

Ottavio. Eh così, così.

Corallina. Tutti dise che la xe preziosa.

Ottavio. Non ha che fare colla mia.

Corallina. Certo la soa la gh’averà più bel color.

Ottavio. Certamente.

Corallina. La sarà amaretta.

Ottavio. Sì, questa è troppo dolce.

Corallina. La la farà più fissa.

Ottavio. Questa veramente è liquida.

Corallina. E pò, colla mescola la se missia meggio.

Ottavio. Cos’è la mescola?

Corallina. L’è quel frullo che se doperà co se fa la cioccolata in caldiera.

Ottavio. Mi piacete.

Corallina. Eh via!

Ottavio. Da cavaliere.

Corallina. Truì, va là[2].

Ottavio. Come?

Corallina. Gnente, no la sente el porco, lustrissimo, che vol vegnir fora del so casotto?

Ottavio. Avete un discorso che non lo capisco bene.

Corallina. Mi no me par de parlar tedesco.

Ottavio. Siete di questa villa?

Corallina. Son nata qua, ma son stada arleva[3] a Venezia, in casa dei mi paroni.

Ottavio. Allevata in Venezia? Quest’è che la sapete lunga.

Corallina. Oh, e sì son innocente come l’acqua.

Ottavio. Come l’acqua dei maccaroni.

Corallina. Oh giusto, quell’acqua che vussustrissima se lava el viso.

  1. Giù.
  2. V. vol. VI, pag. 472.
  3. Così il testo, per arlevada.
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