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Pantalone. Cossa è stà?

Lelio. La consolazione mi sveglia gli effetti patricali.

Pantalone. Come?

Lelio. Sì signore, io patisco l’ipocrisia.

Pantalone. (Oh siestu maledetto!) (da sè) Voleu forsi dir d’ipocondria?

Lelio. Per l’appunto, e quando sento parlar d’amore, mi si muovono i flauti negl’intestini.

Pantalone. Le buelle ballerà la furlana a son de subiotto.

Lelio. Dov’è la sposa?

Pantalone. La xe in te la so camera.

Lelio. Avete preparato il letto?

Pantalone. El letto? Xe ancora a bonora.

Lelio. Solleticate, caro signor genero.

Pantalone. A mi zenero?

Lelio. Sì, a voi, a cui protesto la grazia riverita dell’animo mio obbligante.

Pantalone. No vôi sentir altro; patron caro, a bon riverirla.

Lelio. Servitor suo venerato.

Pantalone. Schiavo mio obbligante.

Lelio. La prego conservarmi nel suo individuo.

Pantalone. La tegno scolpida in tel mesenterio.

Lelio. Sarò sempre obbligante alla sua umilissima servitù.

Pantalone. E mi mandarè a far ziradonar[1] la so padronanza. (Siestu maledetto ti, e chi t’ha calzà, e chi t’ha vestio. Ancora me par impussibile che mia fla abbia da sposar sto martuffo). (da sè, via)

Lelio. Son consolatissimo, son l’uomo più felice che sia sotto la cappa di questa terra. Sposerò la prole generata del generante. Stringerò fra le mie braccia la sua difforme bellezza. Unirò il polo artico del mio amore al catartico della sua grazia. Ma io, per bacco, dico le più belle cose del mondo. Sono l’uomo più zotico fra i letterati. Tutti s’incantano della mia

  1. A farsi benedire ecc.
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