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262 | ATTO PRIMO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu{{padleft:274|3|0]] che in tre mesi che ci onorate della vostra presenza, non abbiamo avuto che grazie, cortesie e vantaggi.
Alonso. Il signor Pantalone ha della bontà per me ch’io non merito, e questo ci garantisce da quei rimproveri che voi temete.
Rosaura. Ah, don Alonso, è stato avvelenato il piacere della nostra pacifica corrispondenza. Mio padre, che riposava assai quietamente sopra la vostra e la mia condotta, è stato posto in sospetto da chi ha invidia della mia fortuna.
Alonso. Ebbene, si deludano i nostri nemici.
Rosaura. In qual guisa?
Alonso. Rendendo pubblico il nostro amore. Sappia il vostro genitore ch’io v’amo, ch’io vi desidero per mia sposa.[1] Siami allora permesso il ragionarvi, il vagheggiarvi senza riserve, e si maceri dall’invidia chi aspira forse al possesso delle vostre bellezze.
Rosaura. Voi mi consolate. Son certa che mio padre incontrerà con giubilo la fortuna di un genero di tanto merito, e a lui sì caro. Ma... oh cieli! Lasciate[2] ch’io vi dica non essere tutto ciò bastante a rendermi pienamente contenta.
Alonso. Che vorreste di più, mia cara? Che mai si oppone alla vostra quiete?
Rosaura.[3] Penso ai pericoli della guerra: penso all’instabilità del vostro soggiorno: penso che potreste essere costretto a lasciarmi, prima di concludere le nostre nozze.
Alonso. Prevengasi dunque ogni avverso destino, e si concludano in questo giorno.
Rosaura. Sì, si concludano... Ma... aimè! Chi m’assicura[4] che breve troppo non abbia a essere il piacere d’avervi meco?
Alonso. Terminata la guerra, verrete meco in Ispagna.
Rosaura. Ah! finchè dura la guerra, non avrò un momento di bene.
Alonso. Parlasi con fondamento di una vicina pace. I frequenti