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IL TUTORE 341

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SCENA V[1].

Pantalone, Beatrice e Rosaura.

Pantalone. Siora Beatrice, circa le spesette capricciose che volesse far siora Rosaura, poco più, poco manco lasseria correr, ma no me par necessario che la vaga ela in persona.

Beatrice. Oh signor sì, è necessario. Vogliamo veder noi, vogliamo soddisfarci.

Pantalone. Ben; se fa vegnir el mercante a casa. Cossa disela, siora Rosaura?

Rosaura. Per me son contentissima.

Pantalone. Sentela? Ela la xe contenta. Via, da mare[lower-alpha 1] savia e prudente, la ghe daga sto bon esempio, la resta in casa e la se lassa servir.

Rosaura. (Sarà meglio ch’io mi metta a finir la mia manica). (da sè, va a cucire)

Beatrice. Signor Pantalone carissimo, mio marito è morto, e non ho altri che mi comandino. In casa mia voglio fare a mio modo, e non ho bisogno di esser corretta.

Pantalone. Benissimo; ela fazza quel che la vol, mi no ghe penso[2]. Ma sta putta la xe stada raccomandada a mi da so pare. Mi son el so tutor, e mi ho da invigilar per i so interessi, per el so credito e per la so educazion.

Beatrice. Circa agl’interessi ve lo accordo; per il resto tocca a me, che sono sua madre.

Pantalone. Cara siora Beatrice, no la me fazza parlar.

Beatrice. Che vorreste dire?

Pantalone. La compatissa, za nissun ne sente. (la tira in disparte) Ghe toccherave a ela, se la gh’avesse un poco più de prudenza.

Beatrice. Io dunque sono imprudente? Viva il cielo! Mio marito non mi ha mai detto tanto.

  1. Madre.
  1. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  2. Bett. aggiunge: nè bezzo, nè bagattin.
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