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IL TUTORE 349

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Pantalone. Via, se no ghe xe nissun, n’importa; tiolemose una carega[1], [lower-alpha 1] e sentemose. (prende la sedia per sè)

Ottavio. Ehi... (chiama)

Pantalone. Aveu bisogno de gnente?

Ottavio. Ho bisogno della sedia. Io non voglio durar[2] questa fatica.

Pantalone. Se no volè far[3] vu, farò mi. (gli dà una sedia) Comodeve.

Ottavio. Vi ringrazio. (siede)

Pantalone. Sior Ottavio caro, nu semo colleghi nella tutela de vostra nezza[lower-alpha 2]. Vorave che se fessimo onor, e che arrecordandose dell’impegno che avemo tolto...

Ottavio. Ehi. (chiama)

Pantalone. Cossa ve bisogna?[4]

Ottavio. Su questa seggiola io non ci posso stare.[5]

SCENA XI.

Un Servitore e detti.

Servitore. Signor, ha chiamato?

Ottavio. Fatemi portare la mia poltrona.

Servitore. Sì signore. (parte)

Pantalone. Caro sior Ottavio, ve piase molto i vostri comodi.

Ottavio. Oh, io sì veh. Voglio goder più che posso; e non ho altro bene, e non godo altro che la mia comodità. Questa sedia dura mi ammacca, con riverenza, il di dietro.

Pantalone. No so cossa dir, tutto xe un avvezzarse. Ma tornemo al nostro proposito. Sta putta, come che diseva, xe granda e vistosa. In casa pratica della zoventù...

Ottavio. (Sì va rimescolando sulla seggiola.)

Pantalone. Coss’è? Cossa gh’aveu?

  1. Seggiola.
  2. Nipote.
  1. Bett. aggiunge: per omo.
  2. Bett.: far.
  3. Bett. e Pap.: farla.
  4. Segue nell’ed. Bett.: «Ott. Ehi! Pant. Mo via, cossa voleu? Ott. Su quella ecc.»
  5. Bett. aggiunge: Ehi!
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