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IL TUTORE 357

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Beatrice. Eh! sa il cielo quante ne avete.[1]

Florindo. No davvero, e vi dirò la ragione. Sono in disposizione di prender moglie, e non voglio perdere il credito.

Beatrice. Via, da bravo; quando mangiamo questi confetti?

Florindo. Se non trovo nessuna che mi voglia!

Beatrice. Non trovate nessuna? Eh furbetto![2]

Florindo. Ma è così; io non la trovo.

Beatrice. Eh, se fosse vero che non l’aveste trovata...

Florindo. Da uomo d’onore, non l’ho trovata.

Beatrice. Sentite... Su tal proposito si potrebbe discorrere. (Questo sarebbe un buon negozietto per me). (da sè)

Florindo. (Se parlasse di sua figlia, ci aggiusteremmo presto), (da sè)

Beatrice. Per esempio, che cosa vi gradirebbe?

Florindo. Circa a che, signora?

Beatrice. Che so io? A dote, a condizione, a età?

Florindo. Ecco la signora Rosaura.

SCENA XV.

Rosaura e detti.

Rosaura. Che mi comanda?

Beatrice. Oh, siete venuta a sturbarci.

Rosaura. Bene, signora, io torno via. (in atto da partire)

Florindo. Non signora, non partite, giacchè per grazia della vostra signora madre ho l’onore di riverirvi.

Rosaura. Obbligatissima. Le son serva.

Beatrice. Avete finita la vostra manica?

Rosaura. Signora no.

Beatrice. Potete andare a finirla.

Rosaura. Anderò. Serva sua.

Florindo. Orsù, io vedo che a quest’ora la mia visita è a lor signore d’incomodo. (s’alza) Partirò per lasciarle in libertà.

Beatrice. Fermatevi: ho da parlarvi.

  1. Bett. e Pap.: Eh furbo! Sa il cielo quante.
  2. Bett.: Eh galeotto! Pap.: Eh sciamato!
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