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IL MOLIERE | 29 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu{{padleft:39|3|0]]
Addio.
Moliere. Dove, signore?[1]
Leandro. A bere una bottiglia,
E a trattener la madre, finchè stai colla figlia, (parte)
SCENA II.
Moliere, poi Isabella[2].
Se il vin non l’opprimesse, meglio saria per lui[3].
Quanto più l’amerei, s’ei fosse men soggetto...
Ma ecco l’idolo mio, ecco il mio dolce affetto.
Il duol dal mio pensiero dileguar può ella sola;
E quando lei rimiro, sua vista mi consola.
Isabella. Poss’io venir?
Moliere. Venite.
Isabella. Mi treman le ginocchia.
Moliere. Perchè?
Isabella. Perchè mia madre mi seguita e m’adocchia.
Moliere. Crediam ch’ella s’avveda del ben che vi vogl’io?
Isabella. Non già del vostro affetto, ma s’avvedrà del mio.
Moliere. Perchè dovrebbe accorgersi di voi più che di me?
Isabella. Perchè l’affetto vostro pari del mio non è.
Perchè v’amo più molto di quel che voi mi amate,
E quanto amate meno, tanto più vi celate.
Moliere. Eh furbetta! furbetta! Che arrabbi, s’io lo credo.
Isabella. Voi l’amor mio vedete, il vostro io non lo vedo.
Eccomi; perch’io v’amo, arrischio esser battuta;
Se foste a me venuto, qui non sarei venuta.
Moliere. Ah! quanto verrei spesso a rendermi felice,
Se sdegnar non temessi la vostra genitrice!