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LA MOGLIE SAGGIA 467

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Beatrice. Amica, ho piacer che mi conosciate[1]. Non sono capace di operare diversamente.

Rosaura. È vana questa vostra giustificazione. So chi siete, e per questa ragione vengo a gettarmi nelle vostre braccia. Niuna meglio di voi intende i doveri della dama savia, della femmina onesta. A voi non è ignoto, che una donna che turbi la pace di una famiglia, è la più indegna femmina della terra. Che chi tenta sedurre i mariti altrui, merita uno sfregio sul viso. Che chi coltiva amori illeciti, amicizie sospette, conversazioni pericolose, è un’indegna, una perfida, una scellerata. Cara marchesa Beatrice, a voi mi raccomando.

Beatrice. (Fremo di sdegno, e non mi posso sfogare). (da sè)

Servitore. Signora, una parola. (a Beatrice)

Beatrice. Con vostra permissione. (a Rosaura, e s’alzano)

Rosaura. Accomodatevi. (Parmi d’averle detto abbastanza). (da sè)

Servitore. (È qui il signor conte Ottavio). (piano a Beatrice)

Beatrice. (Digli che se ne vada, che è qui sua moglie).

Servitore. Sì signora. (Oh i bei pasticci!) (da sè, parte)

Beatrice. Eccomi da voi. (a Rosaura)

Rosaura. Ebbene, signora Marchesa, siete voi disposta a favorirmi?

Beatrice. Gli parlerò.

Rosaura. Che cosa gli direte?

Beatrice. Gli dirò tutte le vostre ragioni.

Rosaura. Gli direte qual sia l’obbligo di un marito?

Beatrice. Sì, glielo dirò.

Rosaura. Qual sia l’impegno di un cavaliere onorato?

Beatrice. Sì ancora.

Rosaura. Se mai scopriste ch’egli avesse qualche nuovo affetto, qualche nuova premura, soggiungetegli quel che v’ho detto.

Beatrice. Sì, non dubitate.

Rosaura. Ditegli, che se qualche bella lo seducesse, sarebbe[2] una scellerata, un’indegna. Marchesa, compatitemi, e vi son serva.

  1. Bett.: conoscete.
  2. Bett. sarebbe colei una perfida ecc.
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