< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

IL MOLIERE 63

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VII.djvu{{padleft:73|3|0]]

Vivere non mi lascia un sol momento in pace;

Mi batte, mi minaccia, m’insulta, e mai non tace.
Mi struggo, mi divoro, non so quel che mi faccia.
Com’è possibil mai, che sulla scena i’ piaccia?
Moliere. [1] Deh serenate, o cara, i vostri amati rai:
A togliervi di pene la guisa io meditai.
Isabella. Moliere, oh ciel![2] Mi sento mancare a poco a poco.
Moliere. Nutrite, o mia speranza, nutrite il vostro foco.
Lasciate che a Parigi torni la Real Corte;
Della madre a dispetto vi farò[3] mia consorte.
Isabella. E quanto aspettar deggio?
Moliere.   Non più d’un mese appena.
Isabella. Soffrire ancora un mese dovrò cotanta pena?
Possibile non credo lo sforzo a questo core.
Valerio. (La povera fanciulla si sente un grand’ardore).
Moliere. Precipitar, mia cara, non deesi un’opra tale.

SCENA XIII[4].

La Bejart e detti.

Bejart. (Molier parla a Isabella?) (osservando in disparte)

Moliere.   Io sono un uom leale.
(in tuono pedantesco, vedendo la Bejart)
L’amor vostro, figliuola, convien metter da banda.
Ed obbedir dovete la madre che comanda.
Udite un che vi parla, pien di paterno zelo.
(Ecco la genitrice); vi benedica il cielo. (parte)
Isabella. (Comprendo il cambiamento).
Valerio.   (È un comico perfetto).
Bejart. Di Molier non mi fido. Vivrò sempre in sospetto.
Andiamo. (a Isabella)
Isabella.   V’obbedisco.

  1. Comincia nell’ed. Bett. la sc. IX.
  2. Bett.: Oh Dio!
  3. Bett. e Pap.: sarete.
  4. Sc. X nell'ed. Bett.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.