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84 ATTO QUINTO

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Se mi amate, Isabella, la vostra genitrice

Pregate, che mi renda col suo perdon felice.
Isabella. (Lo sposo lo comanda, e il cuor me lo consiglia).
Signora, perdonate l’eccesso a vostra figlia.
Amor mi rese ardita: mi duol d’avervi offesa;
L’interno affanno mio col pianto si palesa.
Oimè, lo sdegno vostro! Oimè! m’avete detto:
Felice com’io sono, sia per te, figlia, il letto.
Oimè! che da mia madre, misera, odiata sono!
Bejart. Ah! il ciel ti benedica, t’abbaccio e ti perdono.
Moliere. Viva la saggia madre, viva la mia diletta.
Molier la sposa abbraccia, la suocera rispetta[1].
Dov’è Leandro e il Conte? (a Valerio)
Valerio.   Il vin gli ha superati,
E con Moliere in bocca si sono addormentati.
Non facean che lodarvi; ed era ogni bicchiere
Con voti consacrato al merto di Moliere.
Questo vuol dir che l’uomo, ne’ giorni suoi felici.
Ovunque volga[2] il ciglio, può numerar gli amici.
Moliere. Or sì felice giorno posso chiamar io questo,
In cui nulla ravviso d’incerto e di funesto.
Il pubblico m’applaude, si cambian gl’impostori.
Mi crescono gli amici, son lieto fra gli amori.
Sol manca di Moliere, per coronar la palma.
Che gli uditor contenti battano palma a palma.

Fine della Commedia.

  1. Bett. e Pap.: e voi, suocera, inchina.
  2. Bett.: Dove rivolga.
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