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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VIII.djvu{{padleft:100|3|0]]
Rosaura. Non so che dire. Il Marchesino li averà provocati.
Beatrice. E per le leggerezze del figlio, non rispettano[1] la madre?
Rosaura. Fra questi monti trovasi più sincerità che prudenza.
Beatrice. Voi li scusate, perchè si chiamano[2] difensori della vostra causa.
Rosaura. Io parlo per la verità.
Beatrice. E soffrite che da costoro si ricorra ai tribunali per voi?
Rosaura. Signora, io non posso impedire che mi si faccia del bene.
Beatrice. Questo bene vi è stato prima proposto da me.
Rosaura. Ma con una condizione, che mi mette quasi in disperazione[3].
Beatrice. Aborrite mio figlio?
Rosaura. Non lui, ma i suoi costumi.
Beatrice. Che ha egli fatto di male? Costoro, che son[4] salvatici, si formalizzano di tutto.
Rosaura. Bel difetto è la delicatezza d’onore! Questo è l’unico pregio di queste genti.
Beatrice. Non so[5] che dire. Mi veggo circondata da mille pericoli, da mille affanni; da antichi rimorsi e da novelli timori. Confidai[6] nella vostra gratitudine, nella vostra bontà; ma vi vedo[7]) vacillare alla lusinga de’ vantaggiosi progetti. Fate ciò che v’aggrada; porgete l’orecchio a chi sa meglio persuadervi. Fidatevi di chi meglio voi conoscete. Armatevi contro di me; distruggete ogni mio disegno; scordatevi della mia pietà, dell’amor mio, della mia tenerezza; trattatemi da nemica; e non temete che, ad onta di tutto ciò, usi del mio potere per abbattervi, per annientarvi. Son dama, son giusta; ho giudicato in vostro favore; sarà nel cuor mio irrevocabile la mia sentenza. Dirò sempre[8]: viva la verità; trionfi la giustizia. Tutto perisca, pria di commettere una violenza, un atto solo di crudeltà. (parte)