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508 | ATTO TERZO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VIII.djvu{{padleft:524|3|0]]
Arlecchino. L’è così da galantomo.[1]
Brighella. Vôi andar a sentir... (volendo partire, incontra il cameriere
Cameriere. Signor Brighella, me ne rallegro.
Brighella. È la verità?
Cameriere. Sì, signore, hanno fermato il ladro.
Olivetta. Oh cielo! Dove?
Cameriere. Nella laguna, prima che arrivasse a Fusina.
Brighella. Com’ela stada? Chi gh’è andà drio?
Cameriere. Il signor conte Ottavio ha dato alcuni denari; ha mandato dietro al ladro, e l’hanno fermato.
Brighella. Bravo Conte, da galantomo. (con aria
Cameriere. Mi dà la mancia?
Brighella. Se vederemo. (con ari)
Cameriere. Si ricordi.
Brighella. Andè vecchio. Se vederemo.
Cameriere. È tornato in superbia. (parte
Pantalone. Sto sior Ottavio no se vede. Bisogna che no sia vero.
Florindo. Giuro al cielo, lo ammazzerò.
Rosaura. Ah! no, Florindo.
Pantalone. No femo susurri.
Beatrice. Signora Olivetta, me ne consolo. Ora respirerete.
Olivetta. Eh! nè anche per questo mi sarei ammalata.
Beatrice. Ballerete più nell’opera buffa?
Olivetta. Signora no, e mi vergogno d’averci ancora pensato.
Brighella. Eh! le xe cosse che le se dise, ma po se ghe pensa a farle. Figurarse, una donna de sta sorte!
SCENA ULTIMA.
Il Conte Ottavio e detti.
Pantalone. Eccolo.
Florindo. Fremo in vederlo.
Pantalone. Cossa comandela, patron?
- ↑ Pap. aggiunge: «E po el proverbi no falla: Tutti i muli i è fortunadi. parte».