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66 | ATTO SECONDO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1910, VIII.djvu{{padleft:76|3|0]]
Pantalone. Ho paura che adesso nol vegna.
Beatrice. Per qual ragione?
Pantalone. Eccellenza, tutto el paese mormora. L’insulta tutte le donne. I omeni de montagna i xe più zelosi de quelli della città. Nasserà qualche inconveniente.
Beatrice. Presto... che si cerchi... che si ritrovi.
Servitore. I deputati della Comunità vorrebbero passare da Vostra Eccellenza.
Beatrice. Introduceteli. (al servitore) Signor Pantalone, andate subito, vi prego, a rintracciare mio figlio; e per amore, o per forza, fate che a me sia condotto. Comando io finalmente, e voglio che mi obbedisca.
Pantalone. La servo subito. (Poveretto elo, se nol gh’avesse una madre de sto cuor e de sto talento). (da sè, parte)
SCENA III.
Nardo, Cecco e Mengone in abito di caricatura, e Beatrice.
Nardo. Ecco qui dinanzi a Vostra Eccellenza i deputati della nostra nobile antica Comunità. Siccome noi non sappiamo l’uso della città, siamo venuti a pregarvi che ci diciate, se fra di voi sia lecito[1] tentare le mogli altrui, e vivere con prepotenza.
Beatrice. Che domanda impertinente è codesta?
Nardo. Ma favorisca, Eccellenza. È lecito, o non è lecito?
Beatrice. Mi maraviglio di voi.
Cecco. È lecito, o non è lecito?
Beatrice. Perchè a me lo chiedete?
Mengone. È lecito, o non è lecito?
Beatrice. I delitti sono da per tutto vietati.[2] Le disonestà, le soverchierie sono colpe severamente punite.
Nardo. Eccellenza, il signor Marchesino... perdoni, so benissimo che veritas odiorum paritur.
Cecco. Lo dirò io. Il signor Marchesino va a caccia di donne,