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IL GELOSO AVARO 35

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SCENA IX.

Don Luigi, il Dottore e dette.

Dottore. Cosa è questo strepito?

Luigi. Che altercazioni sono queste?

Eufemia. (Mio padre con don Luigi?) (da sè)

Dottore. Ma, caro signore, come[1] c’entra in questa casa? Le ho pur detto che mi lasciasse venir solo, che per condurre a casa mia figliuola non ho bisogno di vossignoria.

Eufemia. (Condurmi a casa?) (da sè)

Luigi. Vi faccio disonore a venir con voi? (al Dottore)

Aspasia. Venite, don Luigi, presentatelo voi il ventaglio a donna Eufemia; dalle vostre mani lo prenderà.

Eufemia. Signor padre, io sono insultata; in casa mia si viene a posta per insultarmi.

Dottore. Donna Eufemia, andiamo, venite con me.

Eufemia. Dove?

Dottore. A casa vostra.

Eufemia. La casa mia non è questa?

Dottore. No, figliuola, questa è la casa d’un barbaro privo d’umanità. Tutto mi è noto. Non è più tempo di ascondere i trattamenti che offendono la riputazione. Venite via con me.

Eufemia. Lasciatemi prender fiato; datemi tempo a pensare: non so a qual risoluzione appigliarmi.

Luigi. Via, donna Eufemia, risolvete. Uscite di questa casa fintanto che non vi è vostro marito. Finalmente vostro padre vi guida, ed io vi sarò di scorta.

Eufemia. Se mio padre voleva seco condurmi, avea da venir solo, e non in compagnia di uno che sa poco trattare colle persone civili.

Dottore. Sente, signore? Vada a buon viaggio.

Aspasia. Caro fratello, voi non sapete trattare colle persone civili. La boccetta d’oro doveva essere di diamanti.

Eufemia. Mi meraviglio di voi.

  1. Ed. Pitteri: cosa.
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