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100 ATTO QUINTO

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Madama. Per me ci penso io. Alfin sono una dama.

Voi lasciatemi in pace.
Conte.   Vi servirò, Madama.
Madama. Ah! non so chi mi tenga... non faccia un criminale.
Conte. Moderate, signora...
Madama. Sento che mi vien male.
Conte. Presto, presto, sedete. (le dà una sedia)
Madama.   Soccorretemi, Conte.
(gettandosi sulla sedia)
Conte. (Quando voglion le donne, le convulsioni han pronte).
Madama. Oimè! (s’abbandona)
Conte.   Ehi, chi è di là? (chiama)

SCENA IX.

Contessa, don Alessio, don Maurizio e detti.

Contessa.   Madama è qui seduta?

Alessio. Che si fa? non si viene?
Conte.   La misera è svenuta.
Contessa. Ella, signor Contino, fatta l’ha tramortire?
(con ironia al Conte)
Alessio. Io, io che so il suo male, la farò rinvenire.
Animo, signorina, si desti in cortesia. (scuotendola)
Madama. Cosa fu? dove sono? (rinviene)
Alessio.   Animo; andiamo via. (a Madama)
Madama. Dove? (confusamente)
Alessio.   A casa per ora, poi domani mattina
A prendere le poste.
Madama.   Quali poste?
Alessio.   A Fusina.[1]
Maurizio. Giunse la trista nuova di don Alessio al cuore,
Esser vicino a morte in patria il genitore;

  1. La prima posta dopo la laguna di Venezia. [nota originale]
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