< Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

TERENZIO 351

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XI.djvu{{padleft:363|3|0]]

Lisca. Convien precipitarlo.

Fabio.   Questo si fa, e si tace.
Lisca. Pronto è il modo.
Fabio.   In qual guisa?
Lisca.   Aiutami.
Fabio.   Consiglia.
Lisca. Terenzio ama colei che di Lucano è figlia.
Fabio. Grave è la colpa in servo.
Lisca.   A noi tal colpa giove.
Fabio. Crederallo Lucano?
Lisca.   Ho testimoni e prove.
Fabio. Eccolo. (osservando fra le scene Lucano che si appressa)
Lisca.   A tempo giugne.

SCENA VI.

Lucano ed i suddetti.

Lucano.   Grata a Terenzio è Roma.

Sol resta a’ pregi suoi libero ornar la chioma.
Romolo[1] che de’ padri la crudeltate ha in ira,
Pietà nel seno mio verso lo schiavo inspira.
Fabio. Romolo, che del Lazio regge fra’ numi il fato,
Libero aver fra’ suoi aborrisce un ingrato. (a Lucano)
Lisca. Lodasi di Lucano l’almo pietoso impegno;
Ma di ricchezze e onori Terenzio non è degno.
Lucano. Qual ragionar novello contr’uom da voi lodato?
Fabio. Terenzio è menzognero.
Lisca.   Terenzio è scellerato.
Lucano. Ragion diasi di questo.
Fabio.   Schiavo di mente insana,
Amar Livia non teme, seduce una Romana.
Lucano. Livia da lui amata? (a Fabio e Lisca)
Fabio.   Lo so.

  1. Nell’ed. Pitteri qui e sempre si trova stampato Romulo.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.